Notizie Italia: Voucher, Ok del Governo all’abolizione, stop ai referendum
Il primo di luglio la Cgil depositava 3,3 milioni di firme per indire i referendum abrogativi di alcune parti del Jobs Act. La riforma del lavoro promossa dal governo Renzi e approvata tra il 2014 e il 2015. Tre erano i bersagli individuati dal sindacato: la cancellazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori; la liberalizzazione degli appalti; l’introduzione dei voucher. La Corte Costituzionale, l’11 gennaio, dichiarava inammissibile esclusivamente il quesito riguardo alla cancellazione dell’articolo 18. Dando via libera ai quesiti restanti. Quello sui voucher e quello sugli appalti.
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Ieri, il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto legge per l’abolizione dei voucher. Su pressione del sindacato e, presumibilmente, delle prossime consultazioni, il Governo ha scelto la soluzione più drastica. Dopo aver esplorato la via di strette e correttivi, si è deciso per l’eliminazione totale dei buoni. Partirà, operativamente, dal 1° gennaio 2018, al fine di permettere l’esaurimento di quelli già acquistati. Il decreto legge contiene anche la modifica della disciplina sulla responsabilità solidale in materia di appalti. Quindi, viene ripristinata la responsabilità solidale del committente con l’appaltatore; nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori.
Con questo provvedimento, il Governo disinnesca entrambi i quesiti referendari, aggirando il referendum sul Jobs Act calendarizzato per il prossimo 28 maggio.
Il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha motivato così la scelta: “l’Italia non aveva certo bisogno, nei prossimi mesi, di una campagna elettorale su temi come questi”. Poi ha aggiunto che questo era anche “l’orientamento maturato nelle ultime settimane in Parlamento”. “Si apre ora una nuova stagione” ha continuato il premier. Sottolineando, inoltre, l’importanza di trovare, in tempi brevissimi, un nuovo strumento per regolare “in maniera seria” il lavoro saltuario e occasionale. Insomma, i voucher rappresentavano “una risposta sbagliata a una esigenza giusta”.
Durante la conferenza, Giuliano Poletti ha osservato che “c’è il rischio di avere un po’ di nero in più” con l’eliminazione. Il Ministro del Lavoro ha poi chiesto il supporto dei sindacati nella prossima riflessione sulla regolamentazione del lavoro occasionale.
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Susanna Camusso, segretaria generale Cgil, ha salutato con positività la scelta del Governo. Anche se “sino a che il provvedimento non verrà trasformato in legge, noi continueremo la campagna referendaria”. I decreti legge, infatti, per l’articolo 77 della Costituzione, “perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione”.
Diversa la posizione della Cisl. Secondo il segretario confederale Gigi Petteni “si spiana la strada ad un ritorno al sommerso. La scelta che si va profilando, relativa alla completa abolizione dei voucher, dà un segnale evidente di come la politica non sia in grado di stare al passo con il lavoro che cambia ma faccia prevalere scelte tattiche e di convenienza di parte”.
Della stessa idea molti esponenti parlamentari, tra cui il leader della Lega Matteo Salvini. “Governo demenziale” quello che decide di cancellare i voucher, ha detto, che passa “dall’abuso sconfinato allo zero per paura della Cgil”. Maurizo Lupi da Area Popolare afferma: “Introdurre nuovi elementi di flessibilità o voteremo no”.
Su questo il Governo è già a lavoro. Visto anche il pressing interno all’esecutivo da parte degli alfaniani. “Bisogna intervenire al più presto per assicurare alle imprese e alle famiglie la possibilità di dare lavoro occasionale a giovani e precari”, ha commentato il Ministro degli Esteri Angelino Alfano. Infatti, per le imprese già si studia una soluzione simile a quella dei mini jobs tedeschi. Ovvero lavori saltuari e occasionali disciplinati da un contratto che prevede per il lavoratore la stessa percentuale di contributi previdenziali garantiti da qualsiasi altro contratto, quindi, non minima come quella dei voucher.
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Una sorta di evoluzione del cosiddetto “lavoro a chiamata”. Oggi utilizzabile in Italia, per non più di 400 giorni in tre anni, dagli under 25 e gli over 55. In caso di introduzione dei mini jobs, questo diventerebbe possibile per tutti, a prescindere dall’età. D’altra parte, resterebbe il vincolo dell’obbligo di assunzione con contratto regolare in caso di sforamento dei 400 giorni. Per le famiglie, invece, l’idea è rifarsi al modello presente in Francia, dove esiste una piattaforma telematica alla quale si possono iscrivere sia le famiglie sia le aspiranti tate, colf e badanti.
In questo modo, il servizio di lavoro verrebbe pagato direttamente online. L’INPS si è detto disponibile a gestire un servizio del genere. Sarebbe necessario però uno stanziamento di fondi pubblici, il che esige l’inserimento di un capitolo di spesa all’interno della Legge di Bilancio, da votare entro fine anno. Se si puntasse sul modello tedesco per il fronte imprese e su quello francese per il fronte famiglie, dunque, bisognerebbe procedere su due piani distinti. Disegno di legge da approvare il prima possibile nel primo caso, e Legge di Bilancio nel secondo.
Per il momento non possiamo far altro che attendere la conversione in legge del decreto approvato ieri. Solo entro i sessanta giorni si potrà sapere, con certezza, se l’intento governativo di far saltare definitivamente il referendum sul Jobs Act potrà realizzarsi o meno.