Dopo aver dichiarato qualche giorno fa all’ANSA che un suo rientro equivarrebbe ad andare al patibolo, Amedeo Matacena – l’imprenditore ed ex deputato di Forza Italia fuggito a Dubai in seguito alla condanna definitiva per associazione mafiosa – si dichiara ora più possibilista, tirando in ballo una delle più controverse giudiziarie degli ultimi anni, quella relativa a Toni Negri, filosofo politico e teorico dell’operaismo, il quale – in seguito a una condanna nel 1984 a 30 anni di carcere per omicidio – fuggì in Francia, per poi tornare in Italia tredici anni dopo, dove sconterà solo parte della sua pena.
“Per far uscire l’incensurata madre dei miei figli dal carcere, di fatto un ostaggio, ho dato la mia disponibilità a rientrare ed aspetto nuove dai miei e suoi legali che devono definire la cosa con le autorità preposte tenendo per ciò presente, per esempio, uno fra i tanti effettuati, l’accordo fatto dallo Stato per far rientrare il fuggitivo Toni Negri, i cui reati non sono paragonabili per gravità a quello a me contestato». È quanto afferma Amedeo Matacena, coinvolto nell’inchiesta che ha portato all’arresto di Claudio Scajola e della stessa moglie di Matacena, Chiara Rizzo, fermata a Nizza, poi estradata e condotta presso il carcere di Reggio Calabria, in cui è al momento detenuta. Proprio ieri, i suoi legali hanno presentato un ricorso contro il Tribunale del Riesame, che aveva rigettato l’istanza di scarcerazione proposta.
Intervistato dal Tempo, Matacena ha affermato che l’impegno dimostrato da Scajola nel trasferirlo in Libano per sfuggire al carcere è stato dettato solo dalla grande amicizia che li lega “e sicuramente nient’altro”. Dalle intercettazioni, tuttavia, sembra che ci fosse qualcosa in più di una semplice amicizia; in particolare, sua moglie avrebbe conquistato sia il cuore di Scajola (“nella vita tutto è possibile, come pure che su questo fatto la segretaria di Scajola abbia mentito per gelosia”) che quello di Caltagirone (“La Porsche che le ha regalato? Sicuramente non sono prove di reato”). “La mafia – sottolinea Matacena – con la mia attività imprenditoriale non c’è entrata mai nulla, sapevano che con me non c’era pane, lo dimostra il fatto che in tutti gli atti dei miei processi mai è emerso un mio rapporto con esponenti di mafia collegabili a mie questioni imprenditoriali”.