Elezioni Francia: l’eredità del Presidente meno amato della Quinta Repubblica

Pubblicato il 22 Marzo 2017 alle 13:06 Autore: Mediterranean Affairs
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A maggio François Hollande lascerà l’Eliseo. Il prossimo inquilino dovrà fare i conti con la sua eredità politica ed economica. La decisione di non ricandidarsi alle elezioni presidenziali per un secondo mandato non ha sorpreso. La mossa tanto drastica quanto inevitabile, dato il suo indice di popolarità in caduta libera, è stata letta da molti osservatori come il simbolo di quella crisi esistenziale in cui i partiti tradizionali della socialdemocrazia sembrano annaspare.

Elezioni Francia: l’eredità del presidente meno amato della Quinta Repubblica

«Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio», dice il narratore nel prologo del fim La Haine (L’odio), diretto da Mathieu Kassovitz nel 1995.

Un sunset boulevard, non solo francese ma solo in parte europeo, sul quale la sinistra affascinata o rapita dal liberalismo s’incammina, inciampa e cade. Qualcuno si rialza e ci riprova. Significativa, in questo senso, la scelta di Emmanuel Macron di dare al suo movimento il nome “En Marche!”. Alle elezioni, con questa formazione di centro, spesso paragonata alla piattaforma spagnola Ciudadanos, l’ex ministro dell’economia promette di superare la “desueta” contrapposizione fra destra e sinistra.

Secondo gli ultimi sondaggi di Opinionway, a contendersi l’eredità di Hollande saranno, la leader del Front National Marine Le Pen e, appunto, Macron. Al momento, quest’ultimo la tallonerebbe a pochi punti di distanza.

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Ma in cosa consiste il lascito del presidente meno amato nella storia della Quinta Repubblica francese? Senza dubbio la risposta pone al centro del dibattito pubblico Emmanuel Macron. Ex numero uno del ministero dell’economia tra il 2014 e il 2016.

Elezioni Francia: le previsioni dell’Ocse

Negli anni della presidenza Hollande, l’economia francese è cresciuta lentamente ma in modo costante. Nel 2012, Hollande credeva che la Francia si sarebbe ripresa completamente dalla crisi del 2008. In realtà, nonostante alcuni segnali incoraggianti specie negli ultimi due anni, i dati dell’Ocse mostrano una Francia in ritardo rispetto a Germania, USA e Regno Unito.

Secondo le previsioni, il PIL francese dovrebbe crescere dell’1,6% entro il 2018. Ciò grazie a tagli delle tasse, incremento degli investimenti, tassi di interesse bassi. Nota dolente, per l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, resta l’incidenza della spesa pubblica in relazione al PIL che, attestandosi al 57%, è tra le più alte in Europa. All’interno di questa cornice, pesano le spese sociali, sanitarie e pensionistiche.

Elezioni Francia: le previsioni dell’Ocse

«I tagli netti degli investimenti dei governi locali – si legge nel Report dell’Ocse – hanno ridotto il disavanzo delle amministrazioni pubbliche del 3,5% del PIL nel 2015». Una riduzione che si attesta al di sotto delle aspettative. Secondo il rapporto, «l’attuale serie di tagli fiscali continua a limitare le entrate, e il progetto di bilancio 2017 include spese supplementari su occupazione, istruzione e sicurezza».

«Eppure i limiti di spesa in altre aree, una crescita più forte ed i tassi d’interesse più bassi contribuiranno a ridurre gradualmente il deficit». Se per un verso, il deficit si è ridotto durante la presidenza Hollande, il debito ha continuato a lievitare. E dato che il margine di manovra del prossimo inquilino dell’Eliseo sarà piuttosto esiguo in termini di aumento del gettito fiscale, Parigi dovrà probabilmente valutare altri tagli di spesa.

Elezioni Francia: occupazione e debito pubblico

Altro argomento scottante, tanto caro al partito socialista quanto alla retorica nazionalista, è l’occupazione. «Pour la croissance et l’emploi» è stato non a caso il mantra del presidente uscente ai tempi della campagna elettorale del 2012. Durante il suo mandato, il tasso di disoccupazione è aumentato con un’incidenza di quasi un punto percentuale tra il 2012 e il 2015, fino a toccare quota 10%. Solo nell’ultimo anno si registra un calo di tre decimi di punto rispetto al 2015.

Hollande è corso ai ripari introducendo un piano di detrazioni fiscali e di incentivi all’assunzione. Il tutto condito da un rinnovato slancio delle politiche attive del lavoro, che ha preceduto la tanto discussa Loi Travail. La legge sul mercato del lavoro che molti in Italia accostano al Jobs Act. Anche in Francia, infatti, l’obiettivo è di rendere più flessibile il mercato del lavoro in entrata e in uscita.

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I sindacati hanno criticato aspramente le novità del testo normativo e portato in piazza milioni di persone.

Elezioni Francia: occupazione e debito pubblico

La riforma del mercato del lavoro è stata fortemente caldeggiata dal candidato di En Marche, che in qualità di ministro dell’economia, ha anche avanzato e sostenuto un pacchetto di norme introdotte per stimolare la concorrenza, liberalizzando alcuni settori economici. Tutti interventi, che uniti, formano una grossa fetta dell’eredità di Hollande. Una fetta che peserà nel segreto della cabina elettorale.

Al netto delle riforme varate dal governo Valls, continua a destare preoccupazione il dato sulla disoccupazione di lungo termine. È appena sopra il 40%. Si tratta di persone che sono fuori dal ciclo produttivo da più di dodici mesi. Resta alto il tasso di disoccupazione giovanile (23,8%); cinque punti sopra la media dell’Unione Europea.

Vista l’eterogeneità dei profili dei candidati, le elezioni presidenziali inducono un senso di incertezza su come verrà gestita l’eredità del primo presidente francese uscente a non ricandidarsi. Non era mai accaduto nella storia della Quinta Repubblica.

«Fino a qui, tutto bene»; direbbe il narratore di La Haine.

Gabriele Quattrocchi

Managing Editor MA

L'autore: Mediterranean Affairs

Mediterranean Affairs è un centro di ricerca che mira a fornire analisi riguardanti l’area mediterranea. Svolgendo approfondite ricerche, lo staff affronta le varie tematiche di politica internazionale incentrate sulla difesa e la sicurezza, la stabilità regionale, e le sfide transnazionali come l’integrazione economica.
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