Crisi Venezuela: il momento peggiore di Maduro
Crisi Venezuela: il momento peggiore di Maduro
In queste ore il Venezuela vive il momento peggiore della sua crisi economico-politica interna. Il fronte del malcontento civile ha raggiunto ed in buona parte superato i livelli di guardia. Il presidente Maduro non sembra riuscire a gestire le redini di una depressione nazionale fattasi dicotomica. I volti di questo mostruoso Giano bifronte sono due: la politica istituzionale e l’economia.
Crisi Venezuela: la decadenza di Caracas
I militari hanno represso nel sangue diverse manifestazioni di protesta dopo che, grazie ad un colpo di coda segreto, il Senato aveva approvato un decreto sibillino. La Corte Suprema ha, infatti, proprio con l’appoggio del presidente Maduro, espropriato il Parlamento, dove l’opposizione detiene la maggioranza da oltre un anno, del Potere Legislativo.
Il ferimento di almeno due rappresentanti legittimi dell’Assemblea ha fatto scattare la molla della reazione urbana che da scontro di piazza è poi diventata vera e propria battaglia di rivendicazione. L’editto accentratore è stato successivamente ritirato, tuttavia questo non è bastato. Il Paese vive in questi giorni momenti di tensione geopolitica figli di una decadenza cominciata già diversi anni fa.
Caracas non è più la grande capitale di un importante snodo energetico dell’America Latina, ma una città allo stremo. Dopo quattro anni di recessione conclamata tutto costa troppo per tutti. File di silenziose identità sfibrate dai prezzi inaccessibili e dai salari inesistenti attendono, sin dalle prime luci dell’alba, che avvenga la distribuzione controllata e calmierata dei pochi generi di prima necessità.
L’esercito, fedele a Maduro in misura direttamente proporzionale ai suoi privilegi di casta, rastrella e presidia ogni strada. Le forze politiche antagoniste sono spaccate al loro interno e le grandi istituzioni di governo, leggasi le Autorità di garanzia nonché l’Alta Corte, giocano in favore dell’attuale presidente.
Crisi Venezuela: economia e pianificazione
Nel 1999, Hugo Chávez diede avvio alla ristrutturazione economica del Venezuela. Lo chiamarono “bolivarismo”. Un programma di sussidi economici statali grazie ai corposi flussi di cassa frutto delle ingenti vendite di petrolio. Industrie, aziende e proprietà fondiarie furono nazionalizzate a favor di popolo e redistribuite. Le rendite, pianificate e gestite da cooperative.
Tutto bene dunque? No. L’economia dello Stato non si premurò di investire i proventi dell’avanzo di bilancio in sviluppo e crescita, così quando il prezzo dell’oro nero cominciò a scendere, il castello delle fiabe crollò al suolo.
Gli strascichi di questa situazione si sono trasformati oggi in una inflazione inusitata (il 700%). La valuta nazionale ha perduto ogni suo più pallido potere d’acquisto. La svalutazione del Bolivar avrebbe già prodotto un ammanco di 748 milioni di euro. Le mosse perpetrate da Maduro, come ad esempio il reiterato controllo dei capitali e degli investimenti dall’estero d’epoca chavista, non hanno certo contribuito al risanamento delle finanze.
Secondo alcuni sondaggi internazionali d’opinione, il 78% della popolazione non sosterebbe ormai più il leader sindacalista. Il conflitto rischia, come se non bastasse, nel prossimo futuro, di allargarsi.
Alla finestra, spettatori più che interessati, starebbero già russi e americani: i primi, grazie al colosso Rosneft, possibili erogatori di nuova linfa energetica da rivendere, i secondi, naturalmente, avversi a qualsiasi ipotizzabile intesa macroeconomica all’interno di un mercato di loro diretta influenza.