Destra/sinistra: se le vere contrapposizioni fossero altre?
Destra/sinistra: se le vere contrapposizioni fossero altre?
Non capiremo mai la politica di oggi se continueremo ad utilizzare lo schema destra/sinistra. Queste le considerazioni di Flavia Perina – già parlamentare di Alleanza Nazionale e direttrice responsabile de Il Secolo d’Italia – che sabato 8 aprile 2017 è intervenuta all’interno del dibattito “Cos’è la destra, cos’è la sinistra”, nella cornice dell’International Journalism Festival di Perugia, il Festival del Giornalismo giunto alla sua undicesima edizione.
Giacomo Russo Spena: Stato o mercato?
L’incontro è stato introdotto da Giacomo Russo Spena di MicroMega, secondo il quale nel Novecento la contrapposizione sarebbe stata abbastanza chiara – tra il liberismo della “mano invisibile” e l’intervento statale. In quest’ultimo schieramento però si inseriscono rivendicazioni eterogenee: i “diritti dell’individuo”, la “contrapposizione capitale/lavoro”, il “femminismo” e il “pacifismo”. Se nel “trentennio glorioso” 1945-1975 hanno prevalso politiche “keynesiane” di spesa pubblica, a partire dagli anni ‘80 il neoliberismo avrebbe ridefinito uno scenario di diseguaglianze, con risposte “populiste” di vario genere per cambiare un sistema visto come “escludente”. Paradossalmente, la destra oggi sarebbe diventata “no global” e intercetterebbe il voto della “pancia”; la sinistra, avvicinandosi all’élite, appoggia la Banca Centrale Europea.
Gilioli: creazione di ricchezza o redistribuzione?
La relazione di Alessandro Gilioli (L’Espresso) ha preso piede dalla dicotomia bobbiana destra=diseguaglianza=creazione di ricchezza contro sinistra=uguaglianza=redistribuzione, quest’ultima ala con l’idea che una società più uguale produca anche più utilità sociale e più sicurezza. Oltre all’esperimento comunista, la sinistra nel Novecento ha tentato la via socialdemocratica, che ha permesso di ridurre alcune diseguaglianze. Venuto meno lo Stato nazionale, “l’internazionalizzazione delle economie ha svuotato gli strumenti con cui veniva implementata la socialdemocrazia, che erano gli strumenti nazionali”.
Sono rimasti però i partiti socialdemocratici, che avrebbero emulato le destre liberali. Ha vinto la destra economica, ma la polarizzazione élite/esclusi avrebbe dato vita a uno “sconquasso di rappresentanza”, con il 99% privo di un partito di riferimento che avrebbe manifestato il malessere votando contro, innanzitutto contro l’internazionalizzazione dei mercati che ha provocato il loro impoverimento, oltre che per leader forti, nella speranza che potessero imporsi sui poteri esterni. Molti elettori avrebbero scelto però pur sempre un’“altra” destra, in assenza di una sinistra. Le democrazie saranno in grado di diventare elastiche ed aprirsi ad un nuovo “New Deal”? Questo il quesito di Gilioli, che però ha citato Pepe Mujica, nel riconoscere un carattere “eterno” alla distinzione tra tendenza all’eguaglianza e alla diseguaglianza nella concentrazione delle ricchezze – individuo e società – mentre l’etichettatura “destra” e “sinistra” è risalente solamente alla Rivoluzione Francese.
Murgia: potere verticale o orizzontale?
È stata poi la volta di Michela Murgia. Per la scrittrice, già candidatasi come indipendente a governare la Sardegna, la distinzione destra/sinistra è innanzitutto una presa di posizione etica di fronte ai rapporti sociali di potere. “Non ho dubbi nel dire che sono di sinistra”. E ha riferito un aneddoto, relativo ad una scena cui assisté personalmente, di un autista indiano analfabeta che non ha voleva farsi aiutare da un fotografo perché di “casta inferiore”. Tutto ciò nonostante guadagnasse forse anche più di lui, perché la cosa fondamentale era quella di “affermare che sotto di lui c’era qualcuno”. Se si dice che “il potere logora chi non ce l’ha”, esso viene visto come sottrattivo; genererebbe conflitto, dislivelli e quindi solamente società di destra.
Ha dunque fornito una definizione di “radical chic”: chi, tra i vari dislivelli di potere, “decide di posizionarsi a destra in quelli strutturali, e a sinistra in quelli derivati”. A suo dire, esercitare un potere contrappositivo corrisponde ad una visione “maschile” – adottata peraltro anche dalla Thatcher – mentre pensare che si possa “essere potenti insieme” significa essere di sinistra, avere una visione “femminile”. Tra le proposte per concretizzarla vi è l’apertura di processi partecipativi nelle decisioni politiche; in assenza di essi sono inevitabili i movimenti di netta contrarietà. “I comitati del no sono la forma di nuova politica più interessante. Sono la riconquista di uno spazio negato”, ha affermato. Quindi la sua intenzione di voler essere di “sinistra” significa, per la Murgia, pensare ad ogni scelta quotidiana: legittima una verticalizzazione piramidale – con un “centro” che emargina la “periferia” – o si colloca nella periferia, creando una “rete” di tipo solidale?
Perina: destra/sinistra è un conflitto fittizio, le vere distinzioni sono altre
Flavia Perina, dissentendo dai precedenti interlocutori, ha evidenziato che la distinzione destra/sinistra in Italia ha avuto uno spartiacque simbolico fortissimo, si pensi allo stupore per i dischi di Battisti trovati nel covo delle BR. Vi sono poi storie tutte italiane: Mussolini proveniva da sinistra, l’amnistia ai fascisti fu voluta da Togliatti, Bombacci, tra i fondatori del PCI, fu appeso assieme a Mussolini. Oggi i ceti deboli si orientano verso Trump e la Le Pen, percepiti come “di destra”. Per la Perina questa non è un’inspiegabile “conversione di massa”, repentina: è segno della perdita di rilevanza della divisione destra/sinistra, importante forse solo per il mondo dei giornalisti e della politica che non ha saputo inventare nuove categorie.
Tramontato il conflitto tra comunismo e capitalismo – quest’ultimo ha prevalso – oggi “replicare fuori da quella intemperie ideologica un tipo di conflitto che appassioni le persone è praticamente impossibile”. Infatti “la politica diventa solo un gioco di potere” tra due schieramenti che pensano le stesse cose. Guardiamo – dice la Perina – le ultime manovre economiche: potevano essere state scritte “da Tremonti, da Padoa Schioppa, o da Padoan, e non ci sarebbe stata differenza”. Per non parlare del Jobs Act o dei provvedimenti in materia di sicurezza.
Ma “le distinzioni esistono, su altri crinali”, secondo la Perina. Si potrebbe iniziare a pensare a “nuove categorie per distinguerci tra di noi”: pensiero libertario VS autoritario; sostegno o contrarietà alla costruzione europea; idea dinamica o statica dell’identità; sostegno oppure no al “partito della paura”; salario minimo orario oppure no; mettere in discussione il portato della globalizzazione oppure no. Su questi versanti “possiamo distinguerci e rimescolarci ed è possibile che io mi trovi dalla stessa parte della Murgia o di Gilioli” che, pur da estrazioni diverse, potrebbero confrontarsi sui problemi reali, evitando conflitti fittizi tra etichette.
Verderami: l’apartheid culturale verso chi non era di sinistra
Per Francesco Verderami (Corriere della Sera) l’idea che destra/sinistra significhi contrapposizione tra eguaglianza e diseguaglianza era già sterile ai tempi di Bobbio e ha contribuito ad “una forma di razzismo politico-culturale al limite dell’apartheid”. La differenza, semmai, poteva essere tra un’organizzazione ossessiva dello Stato e la libertà di iniziativa. Riconoscendo alla globalizzazione il merito di aver fatto uscire dalla soglia di povertà molti popoli e alla Democrazia Cristiana quello di aver trasformato l’Italia nella quinta potenza mondiale, non ha però risparmiato critiche al centrodestra che “non ha saputo frenare la folle corsa egoistica verso l’accumulazione finanziaria”. Ma oggi “non c’è più la politica, non ci sono più le classi dirigenti, il moralismo si è sostituito alla morale”. Dire che ci sono “due destre” sarebbe allora un “alibi auto consolatorio” sia per il centrodestra, sia per il centrosinistra, che non vogliono ammettere di aver sbagliato tutto, ha affermato Verderami.
Un intervento dal pubblico: il conflitto è interno o esterno alla società?
A complicare ulteriormente le cose, un intervento da parte di un ragazzo del pubblico, che riecheggiando l’impostazione del collettivo Wu Ming, continua a distinguere tra una posizione che vede la società lacerata da conflittualità interne e una che invece la concepisce organicamente come un tutt’uno di per sé puro, ma perturbata esternamente, vuoi dallo Stato, vuoi dallo “straniero” o dal “capitale internazionale”. Il primo sguardo sarebbe di “sinistra”, il secondo di “destra”. Nonostante ciò, tra ambiguità semantiche, eredità simboliche, confusioni storiche e necessità ideologiche, il dibattito sul superamento della dicotomia destra/sinistra ad oggi sembra tutt’altro che superato.