Il segretario di Stato americano John Kerry è atterrato stamattina a Baghdad, terza tappa – la più importante – del suo viaggio in Medio Oriente. La visita arriva infatti in un momento delicatissimo per l’Iraq, con i miliziani jihadisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis) che continuano ad avanzare.
La visita di Kerry in Iraq era stata anticipata dalla Casa Bianca. Washington sta cercando di battere i sentieri della politica per impedire che l’Iraq precipiti definitivamente nel caos di una guerra civile. Nell’agenda di Kerry figurano incontri con il primo ministro al-Maliki (sempre più sotto pressione per le scelte politiche fatte negli ultimi anni) e con altre autorità irachene tra cui il ministro degli esteri Hoshyar Zebari (curdo), il presidente del Parlamento sunnita Osama al-Nujaifi (sunnita) e il religioso sciita Ammar al-Hakim.
Secondo quanto riferiscono fonti statunitensi, Kerry non chiederà ufficialmente ad al-Maliki di fare un passo indietro. Washington spinge per una soluzione politica, che arrivi alla formazione di un governo capace di porsi al di sopra delle divisioni settarie che stanno incendiando l’Iraq. Quello che la Casa Bianca chiede è che a Baghdad si adottino politiche più inclusive capaci di tenere insieme la totalità della popolazione. In sostanza si tratterebbe di fare concessioni ai curdi e soprattutto alla minoranza sunnita, la quale si sta trasformando in un prezioso alleato dell’Isis. Questa strada però potrebbe condurre inevitabilmente a un avvicendamento alla testa del governo iracheno, con al-Maliki costretto a dimettersi.
A pochi chilometri di distanza, l’Iran segue con attenzione l’evolversi della situazione irachena e la visita di Kerry a Baghdad. Tra il governo sciita iracheno e l’Iran (anch’esso sciita) c’è un’alleanza a cui Teheran non ha intenzione di rinunciare. Ieri l’Ayatollah Ali Khamenei, guida suprema dell’Iran, ha accusato Washington di voler riprendere il controllo dell’Iraq. “Siamo fortemente contrari a un intervento degli Usa in Iraq” ha dichiarato Ali Khamenei, “crediamo che il governo iracheno, la nazione e le autorità religiose siano in grado di porre fine alla rivolta”.