L’Argentina verso il default, Yellen salva la settimana, ma l’UE affonda sui PMI
Settimana in equilibrio precario dal punto di vista macroeconomico: l’ottava scorsa era iniziata con ulteriori pessime notizie non solo dai “teatri di guerra” di Ucraina ed Iraq, ma anche da un luogo dimenticato nelle ultime settimane, ma non per questo meno interessante. Parliamo dell’Argentina.
Con una decisione a sorpresa la Corte Suprema ha deciso di non concedere udienza a Buenos Aires, che chiedeva di rivedere una decisione dei tribunali inferiori che la obbligava a pagare il debito ristrutturato a seguito del default di inizio millennio.
Un po’ di storia: nel 2005 e nel 2010 l’Argentina offrì ai detentori di Tango Bond falliti la possibilità di recuperare almeno una parte del proprio denaro, circa un 30 per cento, con un concambio fra vecchi e nuovi titoli. Il 93 per cento accettò.
Nel rimanente 7 per cento vi erano dei cosiddetti “fondi avvoltoio”, i quali rastrellarono i titoli falliti con l’obiettivo di ottenere in tribunale che l’Argentina li pagasse totalmente. Tale obiettivo è stato raggiunto la scorsa settimana: l’Argentina dovrà pagare 1,5 miliardi di dollari agli avvoltoi, e la cifra potrebbe lievitare anche di dieci volte se altri holdout, seguendo la strada di questi hedge fund, vincessero a loro volta in tribunale.
Si tratta di soldi che l’Argentina non ha: le riserve valutarie sono scarse e ci sono già troppe cose da pagare e risarcire, per poter ritornare dall’angolo degli appestati in cui è stata confinata dalla comunità internazionale. Quel che è peggio è che la scadenza è per il prossimo 30 giugno: l’Argentina deve pagare sia i vecchi creditori che i nuovi in quella data, e se non lo farà, o lo farà parzialmente, dovrà dichiarare il settimo default della sua storia.
Le conseguenze della decisione non avranno comunque effetti drammatici, perché, come detto, l’Argentina è già sotto embargo finanziario, e la crisi dovrebbe essere solo locale. Il problema nasce in quanto la decisione della Corte Suprema è un precedente interessante, che rischia di generare maggiore incertezza sui mercati obbligazionari, specie quelli del debito pubblico, che già è da anni sotto forti pressioni. Ad esempio, anche a causa della questione Argentina, molti governi hanno cominciato a inserire nei propri titoli di Stato delle Clausole di Azione Collettiva, in base alle quali se una maggioranza dei creditori accetta la proposta del governo di modificare le condizioni di un tale titolo, allora tale accettazione vale per tutti, e tanti saluti ai fondi avvoltoio. Anche l’Italia, dal 2013, ha inserito queste CAC nelle nuove emissioni.
Tutte le brutte notizie, comunque, sono state controbilanciate da una sola persona: il presidente della Fed Janet Yellen, che ha indossato di nuovo le ali della colomba. Yellen ha ribadito che le decisioni della Fed non sono automatiche, e che anche quando certi obiettivi saranno vicini al raggiungimento, Eccles Building potrebbe decidere di continuare a tenere i tassi bassi.
Nell’economia USA vi sono ancora problemi nel mercato del lavoro, dice Yellen, e l’inflazione si muove come previsto. Tradotto: la Fed sembra essere disposta ad accettare un po’ di inflazione in più per spingere il mercato del lavoro (e aiutare ad alleggerire il peso del debito pubblico). Resta da vedere se questa situazione non contribuirà a gonfiare qualche bolla da qualche parte, anche se per ora non si vedono rischi sistemici (ma non si può escludere che vi siano germi da qualche parte).
Lunedì l’agenda macroeconomica ha visto la pubblicazione degli indici dei direttori degli acquisti in Europa: curiosamente è il core della zona a sottoperformare, e soprattutto la Francia a preoccupare, con una lettura inferiore ai 50 punti, ma la situazione complessiva è risultta comunque inferiore alle attese, per quanto in espansione. La notizia ha contribuito a far affondare le borse europee nella mattinata di lunedì. Nel pomeriggio (e anche martedì) si attendono notizie (positive) dal mercato immobiliare USA.
Martedì la fiducia delle aziende tedesche dovrebbe comunque rimanere stabile in territorio ottimista; dall’Italia giungeranno i dati sugli stipendi italiani, che il mese scorso sono rimasti fermi.
Mercoledì gli analisti si attendono un miglioramento nelle vendite al dettaglio italiane, almeno su base mensile, e nella fiducia delle aziende, anche se si tratterà di miglioramenti minimi, in linea con l’aria di stagnazione che si respira a Roma e dintorni. Nel pomeriggio si attendono gli ordinativi di beni durevoli USA, attesi in frazionale rialzo, mentre il Prodotto Interno Lordo dovrebbe far segnare una contrazione dell’1,7 per cento su base trimestrale.
Giovedì i soliti jobless claims USA dovrebbero rimanere sulle solite 310 mila richieste.
Venerdì conosceremo i prezzi al consumo in Germania, che per quanto in crescita dovrebbero risultare anemici, in area 1 per cento su base annua.