PA, i dubbi di Napolitano sul testo di riforma
Perplessità e profili di incostituzionalità sulla riforma della Pubblica amministrazione. La prima risposta sembra molto chiara. E arriverebbe direttamente dalle stanze del Quirinale, dove il 13 giugno scorso il documento di riforma, a firma del ministro Marianna Madia, è arrivato per la prima verifica dopo un lungo tira e molla che, secondo indiscrezioni, avrebbe irritato non poco il capo dello Stato. Napolitano, infatti, avrebbe chiesto più volte a Palazzo Chigi di ricevere la documentazione completa e definitiva, così da avviare formalmente la revisione del testo di riforma.
Impossibile verificare la costituzionalità di un decreto-omnibus, incompleto, fatto di bozze in continuo aggiornamento. Un decreto, quello sulla Pa, lungo infatti 71 pagine e con ben 82 articoli: troppo eterogeneo per materia e oggetto di competenza. Privo di indici e senza nessuna traccia di relazioni complementari. All’orizzonte una bocciatura da parte del capo dello Stato. Il decreto “misure urgenti per la semplificazione e la crescita del paese” , questo il nome tecnico della bozza, è insomma tutt’altro che semplice e snello.
Ma dal governo si affrettano a smentire. “Non ci sono contrasti, non è assolutamente vero che il capo dello Stato ci ha rimandato indietro il testo, vedrete: la riforma fra qualche giorno sarà promulgata” ha ribadito il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Graziano Delrio, in conferenza stampa. Riforma, che su stesso annuncio dell’esecutivo, avrebbe già dovuto essere operativa da giorni, con la controfirma del Presidente Napolitano data, ormai, per scontata. In realtà, si prospettano tempi più lunghi.
Il Colle avrebbe consigliato di spacchettare la riforma in due decreti distinti, almeno per rispettare il principio di “coerenza” della materia. Troppo forti i dubbi sull’anticorruzione, gli statali e il riordino della carriera dei magistrati. Discipline, queste, trattate insieme alle scuole di formazione dei dipendenti pubblici, alle invalidità fino alle alle fonti rinnovabili. Senza dimenticare l’agroalimentare made in Italy, con la gestione del consorzio della mozzarella di bufala campana e il comparto vitivinicolo. Nel decreto anche normative per il riassetto del processo civile, amministrativo, contabile e tributario. Infine, la gestione dei rifiuti e il settore energetico. Un’accozzaglia di norme che non deve essere piaciuta al Presidente Napolitano.
Nelle osservazioni spedite qualche giorno fa al premier Renzi dagli uffici del Quirinale non solo appunti sulla forma. Perplessità, ad esempio, sono state sollevate sull’accorpamento dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici all’Anac del presidente Raffaele Cantone: la soppressione immediata della prima amministrazione, indipendente, rischia infatti di rendere il presidente della seconda, una sorta di “commissario straordinario”. Una m0ssa, in sostanza, a forte rischio di incostituzionalità. Come altrettanto incostituzionale, con la possibilità effettiva di dar vita a (per violazione dell’art. 41 della Carta), è la volontà, contenuta nel decreto, di assegnare al prefetto la gestione di un’impresa appaltatrice sospettata di corruzione, al fine di garantire il completamento dell’opera.
Dubbi anche sul taglio del 90% degli onorari, già ridotti nella legge di Stabilità, per gli avvocati dello Stato e sulla destituzione di alcune sezioni distaccate del Tar. Materia ordinaria, disciplinabile anche in un disegno di legge. Nodo cruciale è quello del “ricambio generazionale nella PA”, alla quale il governo ha legato la propria azione di governo. Provvedimento legittimo che ha però incontrato l’opposizione dura della magistratura, contraria all’abolizione del trattenimento in servizio, ovvero l’esercizio della professione anche oltre il raggiungimento dell’eta pensionabile. I giudici paventano possibili vuoti di organico e conseguente decadenza di molti processi. Uno scenario che finirebbe con l’aggravare la già pesante situazione dei processi in Italia. Su questo aspetto, Napolitano aveva invitato il governo a consultare le parti e a ipotizzare un regime di natura transitoria.
Carmela Adinolfi