Accordo Parigi: sul clima avanti senza gli Usa, cosa succede ora
Le recenti prese di posizione del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump sul clima hanno fatto vacillare il mondo. Eppure nulla sembra esser giunto a caso. Il Tycoon aveva esternato tutte le sue riserve in materia già al G7 di Taormina. Inoltre, lo smantellamento delle politiche energetiche di Obama, è sempre stato martellante fin dagli albori della sua campagna elettorale. La decisione di smarcarsi ufficialmente dagli accordi presi alla Conferenza sui cambiamenti climatici di Parigi (COP21), nel 2015, non può dunque considerarsi un fulmine a ciel sereno.
Accordo Parigi: prima di Trump
Gli accordi internazionali sul clima, firmati da 195 potenze tra cui la Cina, prevedono un impegno concreto volto alla riduzione delle emissioni inquinanti a livello mondiale. Serbare dunque l’oscillazione inferiore ai 2 gradi. Sforzandosi per mantenerla entro 1,5 gradi. A ciò va aggiunta la sfida del raggiungimento di un nuovo equilibrio macroeconomico concernente l’energia. È stato istituito un fondo da 100 miliardi di dollari, da versare ogni anno, a sostegno degli Stati più poveri. Un finanziamento per le fonti rinnovabili.
Accordo Parigi: (anche) dopo Trump
Le intese internazionali di Parigi sono state definite una delle migliori conquiste dell’amministrazione Obama. Gli Stati Uniti rappresentano, insieme alla Cina, circa il 38% delle emissioni globali. Parliamo delle due principali economie esistenti. Tasso d’occupazione e valuta, i punti forti della prima, Prodotto interno lordo e tasso di esportazione quelli della seconda. Venuto meno l’apporto degli Usa, tuttavia, non è detto vengano meno anche le mire dell’Assise COP21.
La defezione statunitense dalle convenzioni del 2015 non riguarda le Direttive Quadro dell’Onu sul clima siglate nel 1992. Norme all’interno delle quali Washington rimarrà con entrambi i piedi. I convitati di pietra al tavolo delle trattative economico-strategiche potrebbero, senza le opposizioni e le ritrosie di una pedina scomoda, avanzare con meno problemi verso il perseguimento delle mete fissate.
Secondo Pia Saraceno, Amministratore delegato del Centro Studi e Ricerche Economico-ambientali REF, “l’Accordo di Parigi sta positivamente incidendo sulle decisioni dei Paesi più inquinanti. Oggi ed in prospettiva. Cina ed India stanno procedendo molto più speditamente di quanto si erano impegnati a fare. Maggiore velocità è stata impressa per definire i criteri d’azione. Il loro buon esempio potrebbe segnare la via anche per gli altri”.
Infine la legislazione vigente impedisce alle potenze aderenti di potersi ritirare totalmente dagli accordi prima di un periodo di quattro anni. Considerato l’arco cronologico delle cariche presidenziali americane, probabilmente, COP21 finirà per essere una questione davvero dirimente soltanto per il successore dell’attuale inquilino della Casa Bianca, qualora non fosse rieletto.