Senza diritto di cittadinanza, un libro di Silvano Gianti
Recensione di Emanuele Pili al libro di Silvano Gianti, Senza diritto di cittadinanza, Città Nuova, Roma 2016, 107 pp., 13€. Invito alla lettura di un saggio che ci costringe a vedere chi non vogliamo vedere e ci passa accanto ogni giorno.
Quante volte…
Quante volte ci è capitato di passare nelle vie più frequentate delle nostre città e notare quel cappello che nasconde un uomo ricurvo mentre domanda qualche spicciolo per campare alla giornata? Quante volte il nostro sguardo ha cercato di evitarlo, perché lui, proprio lui, ci costringe a guardare al di là del nostro naso? Quante volte, invece, ci siamo chiesti chissà quale storia ha portato quell’essere umano a vivere in quel dato modo? Quante volte abbiamo pensato “a me non succederà, non mi riguarda”? Quante volte… le domande ci sono affiorate alla mente, ma, passato quell’attimo che un pochino inquieta, non vi abbiamo più dato importanza?
Ecco, tutte queste domande – ma anche molte altre – animano e agitano il libro di Silvano Gianti; il quale, tuttavia, nell’abitare originalmente la propria curiosità, non si è limitato a porre questioni. Lui ha voluto provare a rispondere, raccontando la storia di quelle persone che ci passano accanto ogni giorno. Persone che noi – per un motivo o per l’altro – non vediamo; o vediamo solo per un attimo, giusto il tempo che serve per far nascere e morire una domanda.
Silvano Gianti e la vita delle periferie
Il testo non parla del buon samaritano, ma di una vivace curiosità unita al desiderio di dare una mano. Così, come si può. È in questo modo che l’autore, attraverso il suo agile volumetto, accende i riflettori sulla vita delle periferie. Lo fa, del resto, così come esse paiono agli occhi di chi dirige con lucida sensibilità il proprio sguardo. Lo stile, in effetti, è asciutto, pulito, senza pietismo, sentimentalismo o romanticismo (Gianti, ve l’assicuriamo, non è proprio il tipo).
Le storie parlano da sole e non c’è bisogno di colorare con effetti speciali. Veniamo a conoscere, in tal modo, l’umanità di cui sono abitati gli anfratti del centro storico di Genova; dalla più signorile Via XX Settembre, alle assai più ruspanti Via Prè e Via del Campo. Così come la realtà di Milano, dal sindacato Clochard alla Riscossa alla vita di Quarto Oggiaro. Senza dimenticare le terre cuneesi (i luoghi dai quali l’autore proviene), dalla storia di chi viene da un piccolo paesino di montagna alla lezione che si può ricevere frequentando il reparto di neurologia dell’Ospedale Civile.
Astenersi perditempo
Sono luoghi variegati, diversi, ma che non sono lontani, fuori dalla nostra portata: sono i luoghi di sempre. Quei luoghi che, giorno dopo giorno, provocano al rischio della relazione con l’altro. L’altro che è veramente altro, poiché non è vestito come me, non è bello come me, non è bianco come me, non è ricco come me. In questo senso, il lettore – al quale non abbiamo tolto il piacere della scoperta di queste pagine – deve essere disposto a lasciarsi provocare, a rischiare l’uscita da sé. Da ciò dipende il senso stesso del libro: astenersi perditempo.
Emanuele Pili per il blog Nipoti di Maritain