Nel Nepal del traffico illegale di organi
Una vittima senza soldi e senza istruzione facile da ingannare. Un’organizzazione collaudata. Medici compiacenti. Un tessuto sociale che nasconda i lati oscuri. Basta questo per metter su un commercio ricchissimo, un commercio che si nutre della salute stessa della gente. Il Nepal è uno degli snodi mondiali nel traffico illegale di organi.
Nei pressi di Kathmandu, capitale del Nepal, c’è il villaggio di Kavre: gli attivisti e le autorità locali lo considerano l’epicentro del mercato degli organi in Nepal, racconta l’emittente statunitense. Il soprannome dice tutto: “La banca del rene del Nepal”. Un ottimo avamposto dal punto di vista logistico: vicino alla capitale, facilmente raggiungibile, pieno di gente senza un soldo.
E infatti nella rete sono loro a caderci: persone povere, senza istruzione. A lungo la gente di Kavre ha fornito al mercato nero dei reni la materia prima per far girare gli affari illeciti: negli ultimi cinque anni, almeno 300 persone sono state ingannate, secondo le autorità locali. Il più richiesto sul mercato nero è proprio il rene: ne circolano più o meno 7mila ogni anno, ha scritto la Cnn. Un volume d’affari che oscilla tra i 500 milioni e il miliardo di dollari.
Il traffico illegale di organi si basa su uno schema semplice. La Cnn ha raccolto la testimonianza di Nawaraj Pariyar, una delle tante vittime di questo commercio: da quattordici anni vive senza un rene. Le sue condizioni di salute stanno velocemente peggiorando. Pariyar era l’uomo giusto per cadere nella trappola: nessuna educazione, pochi soldi.
È l’anno 2000. Ha trovato impiego presso una ditta di costruzioni a Kathmandu. Un caposquadra gli si avvicina e gli fa una proposta insolita: 30mila dollari per farsi tagliar via “un pezzo di carne”. “La carne ricrescerà”, gli dice il caposquadra: nessun rischio di morire. La parola ‘rene’ non viene mai pronunciata. Pariyar pensa che se la carne ricrescerà allora tanto vale intascare il denaro.
Viene vestito. Gli viene dato da mangiare. Viene trasportato in un ospedale nello stato meridionale indiano di Chennai: cosa non insolita, visto che chiunque può sceglie l’India per sottoporsi a operazioni complesse. Per le organizzazioni criminali saltare il confine è utile a mescolare le acque e rendere più difficili i controlli incrociati. Già nel 2007 un’inchiesta firmata dal giornalista dell’Espresso Alessandro Gilioli aveva mostrato come il traffico illegale di organi avesse uno dei suoi centri proprio nelle terre tra Nepal, India e Pakistan. Le vittime di ieri sono le stesse vittime di oggi: contadini senza casa, gente con debiti, vedove.
Nelle tasche di Nawaraj Pariyar vengono messi documenti con nomi falsi che attestano che è in India per donare un rene alla sorella. Lui però non sa leggere. Gli dicono di rispondere sì alle domande di medici che comunque di domande non ne fanno troppe. In ospedale non capisce nulla di quello che sente: la lingua è diversa. E finisce in sala operatoria. Viene pagato solo una piccola parte della somma pattuita e torna a casa dopo una manciata di giorni. È lì che sorgono i primi dubbi. Va da un medico e scopre che gli è stato asportato un rene. Ma a quel punto è tardi.
Per anni le vicende di Kavre sono rimaste nascoste sotto un velo. Nessun numero preciso, niente che raccontasse i contorni del fenomeno. Ora qualcosa sta cambiando. Le autorità sono più vigili, gli attivisti hanno una voce più forte. L’anno scorso dieci trafficanti sono stati arrestati a Kavre. La Cnn ha raccontato che di recente nei documenti richiesti in India per procedere all’operazione viene allegata anche una foto del donatore. Prima non era così. Bastava un foglio falsificato che certificasse la parentela tra donatore e ricevente. È la storia di Nawaraj Pariyar. La sua e di tanti altri.