La vicenda politica europea, che ha portato alla designazione di Jean Claude Juncker alla presidenza della Commissione, è stata vista come una grande vittoria di Angela Merkel e Matteo Renzi. La Merkel infatti non solo ha ottenuto che un esponente del suo raggruppamento politico europeo ottenesse la poltrona di vertice delle stesse istituzioni comunitari. Ma di fatto si è atteggiata da “king maker” della grande coalizione (la cancelliera ne sa qualcosa) tra popolari, socialisti e liberali che reggerà la presidenza dell’ex primo ministro lussemburghese.
Matteo Renzi invece, partendo a dire il vero dal punto di forza del 40.8%, ha giocato la carta del “prima i programmi, poi i nomi” riuscendo in questo modo a dare una buona immagine dell’Italia (pragmatica e non ideologica) e di conseguenza ad ottenere rassicurazioni sul progetto politico europeo (maggiore flessibilità, meno rigorismo) senza snaturare la scelta dei popoli europei che in maggioranza relativa avevano scelto lo schieramento del Partito Popolare Europeo.
Il grande sconfitto invece è David Cameron. E’ l’unico insieme al premier magiaro Viktor Orban ad aver votato in sede di consiglio contro la candidatura di Juncker. Nonostante tutto (e in questo non hanno per niente aiutato le roboanti dichiarazioni del premier britannico “ve ne pentirete”) stanno emergendo una serie di equivoci sulla posizione britannica che in questo modo sembra apparire come uno scontro quasi personale tra Cameron e Juncker. Ma andiamo in ordine: in primo luogo c’è da considerare il ruolo di Orban in questa vicenda.
Capo di un governo che dal 2010 ad oggi ha cambiato costituzione e legge elettorale (scusate se è poco) è stato accusato di dar vita ad una “democrazia formale” in salsa russa. Da qui la sua decisione di rallentare a prescindere qualsiasi progetto comunitario votando contro Juncker alla presidenza della Commissione. Senz’altro è un grande risultato il fatto che gran parte dei paesi non facenti parte dell’Eurozona (come quelli scandinavi) abbiamo alla fine deciso di sostenere il lussemburghese. Basti ricordare gli ostruzionismi nella fase di ratifica del Trattato di Lisbona quando a Varsavia e Praga (l’amico dell’Italia Vaclav Klaus si definì pannellianamente “l’ultimo giapponese”) tenterono fino all’ultimo nel mettere le propria firma in calce a quell’atto.
Orbàn appartiene alla famiglia del popolarismo europeo. Non viene espulso, per la sua politica interna e per il suo approccio alle politiche Ue, per il “timore reverenziale” che gran parte dei popolari europei nutrono nei suoi confronti e nei confronti della sua forza politica Fidesz. Un movimento che, indipendentemente da come la si possa pensare, ha svolto un ruolo fondamentale nella fase di transizione dal comunismo alla democrazia parlamentare in Ungheria svolgendo un ruolo pionieristico per tutti i partiti politici dell’est europeo (basti pensare al divieto di iscriversi al partito, risalente al 1989, se nati prima degli anni ’60).
Su Cameron invece è importante ricordare che la sua non è stata una battaglia personale contro Juncker. Se la vedessimo in questo modo fraintenderemo in primo luogo la stessa figura dell’ex premier lussemburghese. Cameron appartiene all’unico paese dell’Unione Europea che non ha forze politiche affiliate al Partito Popolare Europeo. Dopo il fallimento della strategia di Atene, tesa a far confluire parte dei conservatori europei tra i popolari, ha formato il gruppo dell’Ecr che volontariamente non ha indicato alcun candidato alla presidenza della Commissione. Proprio perché forza politica contraria al fatto che attraverso un voto popolare si possa giungere ad un’indicazione di questo tipo.
L’astio di Cameron contro Juncker dunque è dovuto al fatto che la sua nomina nasce da un iter capace di legittimare, e dunque potenziare, sempre più le istituzioni comunitarie. Un approccio da sempre poco vicino alle istanze britanniche…a maggior ragione se le ultime elezioni sono state vinte dal Mr. Farage! Infine Juncker: prima della sua candidatura alla presidenza anche gran parte degli appassionati di politica non sapevano della sua appartenenza al Ppe. O meglio: vedevano in lui il burocrate di Bruxelles, l’eterno presidente dell’Eurogruppo senza porsi il problema della sua affiliazione politica.
Da questo punto di vista il fatto che il Ppe abbia scelto lui appare come una scelta coerente: per anni abbiamo dato vita ad un Europa intergovernativa in cui sostanzialmente decidono tutto i governi. Continuiamo su questa strada proponendo uno che bene o male ha sempre convissuto e agito in quest’ottica di stampa poco comunitario. A maggior ragione se è espressione del popolarismo europeo.
La vera novità, la vera vittoria di tutti gli europeisti non sta dunque tanto nella nomina di Juncker. Ma nella procedura che ha portato alla sua designazione e soprattutto nel riconoscimento dell’esistenza di una grande coalizione che sosterrà questa nuova Commissione. Perché, come insegna il precedente Merkel dal 2009 al 2013, ci può essere una grandissima differenza tra un governo di centrodestra “puro” e un governo a trazione popolare ma “annacquato” dalla presenza dei socialisti.