Quantitative easing Bce: cosa significa nei dettagli
Quantitative easing Bce: cosa significa nei dettagli
Occhi puntati sul quantitative easing. Incerto, infatti, appare il futuro dello strumento voluto da Mario Draghi nel 2015, che, lo scorso gennaio, è stato riconfermato fino alla fine di quest’anno. Ma che potrebbe essere utilizzato anche nel 2018, dovesse esservi la necessità. Facciamo un po’ di luce su quello che sarà uno degli argomenti di questo autunno caldo della politica europea. In tal senso ci ricolleghiamo alla guida della testata Soldionline, che da una spiegazione esaustiva del quantitative easing.
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Quantitative easing: cos’è nel dettaglio
Partiamo dalle basi. Il quantitative easing (o qe) è una misura di politica monetaria espansiva. Essa, infatti, prevede la creazione di nuova moneta per l’acquisto di titoli finanziari. Titoli di stato, dunque, ma non solo. Col quantitative easing, infatti, è possibile acquistare crediti in sofferenza, così come quote di società private. E questo succede in Europa, dopo la decisione della Bce di marzo 2016 di investire anche in titoli di società private, il cui rating è superiore a BBB-. Gli esperti lo definiscono uno strumento non convenzionale. L’alleggerimento quantitativo, infatti, crea e fa circolare la moneta. Al contrario degli strumenti convenzionali, che si occupano di farla circolare solamente.
Il meccanismo di funzionamento è il seguente. La Banca Centrale crea moneta. Essa può essere reale o meno, vale a dire iscritta solamente nei bilanci contabili della Banca. Con essa finanzia l’acquisto dei titoli che, in questa maniera, aumentano di costo. L’aumento del costo dei titoli ha effetto sul tasso di interesse, che si abbassa.
La banca di cui è stato acquistato il titolo ha un aumento di liquidità da iniettare o meno nell’economia reale. Nel primo caso, tali liquidi vengono utilizzati per finanziare prestiti a famiglie ed imprese nel tentativo di dare impulso a consumi ed investimenti. Nel secondo caso, vengono reinvestiti in fondi a basso rendimento e, di conseguenza, a basso rischio. Con l’effetto per cui a beneficiarne è il debito pubblico.
Il quantitative easing, dunque, in teoria risponde all’esigenza di stimolare la crescita economica, la produzione e l’occupazione. Ma non solo. Come accaduto nel Giappone degli anni Novanta, può essere utilizzato per combattere la deflazione. Essa, infatti, nel lungo periodo fa sì che le imprese non riescano a coprire i costi, con effetti negativi su occupazione e produzione.
Quantitative easing ed UE: come ci si è arrivati
Come si è arrivati al quantitative easing in Europa? Ci si è arrivati nel gennaio 2015, dopo l’intervento della BCE con due strumenti convenzionali: il LTRO del 2011-2012 fatto per sostenere il debito pubblico degli Stati e il TLTRO del 2014 destinato all’economia reale . Come avviene nel contesto UE l’acquisto dei titoli? Uno dei criteri più noti è il Capital key. Ne avevamo parlato già in un precedente articolo, quando si ventilava l’ipotesi di una sua modifica all’indomani della Brexit.
In origine era un piano di 60 miliardi di euro al mese, che ha subito delle modifiche nel corso del tempo. A dicembre 2015 venne prevista l’estensione dell’acquisto titoli a quello degli enti locali. A marzo 2016, invece, arrivò l’apertura alle società private e all’aumento dei fondi coinvolti. Si passò, infatti, da 60 miliardi di euro ad 80. Il periodo indicato: un anno.
Confermato nuovamente a dicembre 2016, a gennaio 2017 è stato prorogato alla fine di questo anno, ma con finanziamenti previsti inferiori a partire da aprile 2017: da 80 miliardi si è tornati a 60. La sfida sul futuro del quantitative easing, dunque, si aprirà proprio in autunno. Con il possibile braccio di ferro tra Germania e Mario Draghi.
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Quantitative easing: la partita tra Berlino e la Bce
Berlino, infatti, ha già avanzato le sue richieste. Lo ha fatto rinviando il giorno di ferragosto alla Corte di Giustizia europea i ricorsi secondo cui l’alleggerimento monetario si configuri come un finanziamento diretto ai bilanci statali.
Lo ha ribadito il presidente della Bundesbank Jens Wiedman, nel sottolineare che non ci sia una “necessità acuta” di mantenere in vita il quantitative easing, con l’inflazione in crescita e la ripresa che comincia ad attraversare l’Europa.
Da Francoforte, però, ancora non ci sono risposte certe in merito al futuro del quantitative easing. L’inflazione, in particolar modo, è cresciuta, ma si attesta all’1,3%. Ovvero 0,7 punti sotto a quanto preventivato dalla Banca. Mario Draghi, poi, si è limitato solamente a definire lo strumento da lui voluto nei suoi ultimi interventi. Lo ha fatto davanti alla platea del Nobel Laureate meeting di Lindau e dal Simposio di Jackson Hole. Dove il governatore ha sottolineato l’importanza di resistere alle spinte protezioniste, ma nulla ha detto sullo scenario economico futuro.