Ieri Dagospia riportava un flash da non sottovalutare: “Voci insistenti nei palazzi del potere assicurano che, alla fine dell’estate, le forze politiche apriranno la partita a Roma mandando a casa il sindaco Marziano. Qualche di commissariamento prefettizio e poi tutti al voto”. Premesso che il marziano in questione è Ignazio Marino, sindaco democratico della capitale, c’è solo una domanda da porsi: si tratta di sole vaghe indiscrezioni, o davvero a Roma le cose non si stanno mettendo bene per il primo cittadino, con giunta annessa?
In effetti, da tempo piovono diverse critiche sull’operato del sindaco-chirurgo, che nel web e sui social network è stato spesso contestato per le sue scelte e che, per questo, si è guadagnato anche diversi nomignoli non proprio compiacenti. Non che Roma sia effettivamente una città semplice da gestire, ma sembra quasi che le diverse contestazioni al sindaco democratico stiano pian piano assumendo sempre più veemenza. Dagospia, appunto, riporta voci di un commissariamento prefettizio e addirittura dell’imminenza di nuove elezioni e di un cambio di gestione in Campidoglio.
UN SINDACO DISCUSSO – Ignazio Marino, eletto nel 2013 ed insediatosi ufficialmente il 12 giugno di quell’anno, aveva un intento principale, che si può ancora leggere sul suo sito: quello di “Restituire a romani e romane la città che meritano. Una città che funzioni.”. Un obiettivo onorevole da condurre a livello istituzionale, ma con tanti problemi da risolvere e soprattutto sotto gli occhi di molti cittadini già delusi dall’operato del suo predecessore Gianni Alemanno (ex PdL). La percentuale della vittoria di Marino fu alta, il 63%, e con una regione guidata dal Partito Democratico sembrava che per il neosindaco si aprisse una conduzione relativamente senza ostacoli. Le problematiche più urgenti da risolvere nei primi sei mesi confluivano tutte nella disastrosa situazione dei conti pubblici di Roma Capitale: 800 milioni di euro di debito ereditati dalla precedente amministrazione erano davvero una bella gatta da pelare. Servì l’intervento del governo con il decreto Salva-Roma e la convergenza degli aiuti nel Milleproroghe – per i quali il governo chiese in cambio un riaggiustamento entro tre anni di quelle cifre – sennò Marino e giunta sarebbero finiti sotto commissariamento, prospettiva al tempo molto allettante per l’opposizione di centrodestra. Oggi il sindaco romano è ancora alle prese con quel debito: lo squilibrio dei conti è ancora a tre cifre, 550 milioni, e Marino ha ieri dichiarato – durante una seduta straordinaria della giunta capitolina – che “Roma Capitale assorbirà in tre anni 440 milioni, dei restanti 110 se ne dovrebbe fare carico il governo riconoscendo gli extracosti di Roma in quanto Capitale”.
Ma non ci sono stati solo i conti pubblici a destabilizzare il sindaco-chirurgo: per cominciare con l’atteggiamento, rimasto un po’ ostile, del suo partito; un Partito Democratico che non ha spesso apprezzato lo spirito poco collaborativo delle scelte di Marino, e suo modus operandi per lo più personalistico. Ultimamente poi si sono aggiunti i problemi riguardanti il restauro della Fontana di Trevi e la costruzione del famoso ponte sulla vasca per i turisti: l’iniziativa, decisa sotto la giunta di Alemanno, che vede un investimento di 2 milioni e 180 mila euro, ha acceso le polemiche dei commercianti, i quali temono un calo dell’afflusso di visitatori dovuto proprio alla presenza dei cantieri. Altri invece si lamentano per la durata dei lavori, nel complesso di un anno e mezzo, giudicata eccessiva. Marino si è anche dovuto difendere dagli attacchi per il prezzo, questa volta ritenuto troppo irrisorio, accordato per l’affitto del Circo Massimo in occasione dello scorso concerto dei Rolling Stones: 7.934 euro, quasi la metà di quanto il celebre gruppo avrebbe speso per alloggiare in un hotel a 5 stelle della capitale.
Una cosa, a questo punto, è certa. Oltre tutti i problemi e le polemiche che ne sono scaturite, c’è bisogno di cautela nel prendere decisioni che potrebbero danneggiare Roma e i romani. E questo – in teoria – va oltre quelle minacce di commissariamento e le voci risonanti nei palazzi di potere di cui parla Dagospia.