Web tax in Europa: cosa significa e a chi è rivolta
Nel fine settimana dell’Ecofin di Tallinn si torna nuovamente a parlare della web tax. E a portare la discussione in sede europea sono le quattro principali economie dell’Unione. Germania, Francia, Italia e Spagna hanno, infatti, portato al meeting un paper in materia. I destinatari: il ministro dell’Economia estone – attuale Stato titolare del turno di presidenza – e il commissario europeo Pierre Moscovici.
La richiesta di Berlino, Parigi, Roma e Madrid è un intervento a livello europeo. “Una soluzione”, si legge nella missiva, “basata sul concetto di istituire una equiparazione fiscale” del fatturato delle digital companies sul Vecchio continente. Per il momento, sostiene il Financial Times, non c’è ancora nulla di definito anche se ci sono dei rumors. Uno di questi, vuole una web tax con un’aliquota tra il 2 ed il 5%.
Web tax, Lussemburgo, Malta e Danimarca spingono per soluzione globale
La proposta, su cui i quattro big europei vorrebbero una condivisione all’unanimità, non ha trovato, però, tutti d’accordo. A partire da quegli stati che hanno un regime fiscale più contenuto. La tesi comune è quella di dover cercare non tanto una soluzione europea, ma globale. Di questo tono è stato l’intervento del Lussemburgo, mentre Malta chiede il coinvolgimento degli Stati Uniti e della Cina.
“Dobbiamo stare attenti a non tassare le soluzioni digitali europee” dice la Danimarca, preoccupata per “i rincari per i consumatori”. Il timore, secondo Copenaghen, è che i consumatori possano “cercare le soluzioni della Cina”.
Silenzio, invece, dall‘Irlanda, uno dei paesi con la tassazione più bassa per le digital companies. Proprio nell’isola verde, le imprese americane attuano uno dei meccanismi di elusione, ricostruiti dal New York Times. Il Double Irish with a Dutch Sandwich. Ovvero il “Doppio irlandese con panino olandese”.
Web tax, come funziona l’elusione fiscale
Secondo questo meccanismo, una società compra dalle digital company uno spazio pubblicitario online. Le digital companies, scrive il quotidiano newyorchese, sottraggono i profitti di vendita online al fisco trasferendo il denaro ad una controllata irlandese. Il passaggio di denaro può essere giustificato come royalty di brevetto posseduto dall’azienda.
Si sfrutta, dunque, un trasferimento tax free, all’interno dell’Unione Europea. La controllata trasferisce, infatti, i proventi ad una società olandese che, a sua volta, manda il tutto ad un’altra società irlandese. Parliamo, in questo caso, di una società che abbia sede legale in un paradiso fiscale. Proprio a questo punto, si attua il meccanismo di elusione. Complice, una particolarità del diritto irlandese. Se la società, infatti, non ha sede a Dublino, i profitti non possono essere tassati.
Un gran risparmio, dunque, per le multinazionali digitali. Una perdita ingente per il fisco di quei paesi in cui la tassazione si aggira attorno al 30% contro il 12,5% dell’Irlanda. Il caso più recente, quello che ha riguardato Airbnb in Francia. A fronte dei miliardi fatturati come proventi dei 10 milioni di affitti, il fisco transalpino ha ottenuto solo 100mila euro.
Proprio Parigi ha spinto, dunque, per l’azione comune dei quattro in Europa, trovando a Tallin la sponda di altri sei paesi. Dal Portogallo alla Romania, passando per Austria, Slovenia, Grecia e Bulgaria. “Non possiamo accettare più a lungo che queste società facciano business in Europa pagando tasse minime ai nostri Tesori” spiegano i dieci ministri del Tesoro. “In gioco c’è l’efficienza economica, così come l’equità e la sovranità fiscale” continuano, nella dichiarazione congiunta.
Web tax, come si sta muovendo l’Italia
Sebbene l’iniziativa sia partita dalla Francia, anche l’Italia è molto attiva sul fronte web tax. Se il ministro Pier Carlo Padoan è un convinto sostenitore di una soluzione europea, il Tesoro sta vagliando un intervento in materia nel Bel Paese.
L’idea è quella di un provvedimento che vada oltre la web tax transitoria della manovra correttiva di primavera. L’emendamento, voluto dal presidente della Commissione Bilancio alla Camera, Francesco Boccia prevedeva, infatti, la possibilità di un accordo tra Fisco ed imprese. A patto che esse riconoscessero una “stabile organizzazione” in Italia. Oltre ad aver generato un ricavato consolidato superiore al miliardo e un fatturato superiore a 50 milioni nella nostra penisola.
Come ricordava il Sole 24 Ore poco prima di ferragosto, infatti, a via XX Settembre stanno studiando una norma da inserire nella legge di bilancio. Secondo quanto trapelato, dovrebbe riguardare l’ipotesi di una tassazione piatta sugli utili prodotti attraverso la pubblicità. In pratica, una cedolare secca che vada ad equiparare chi guadagna nel nostro Paese con chi già si è messo d’accordo con il fisco.