Flat tax in Italia: cos’è e a chi si rivolge il nuovo regime tributario
Nella nuova legge di stabilità si preannuncia una rivoluzione del regime fiscale. L’addio allo spesometro e agli studi di settore in primis, nuove norme sulle comunicazioni telematiche poi. Sino alla flat tax.
L’esecutivo starebbe studiando, infatti, un nuovo regime tributario per le partite Iva. Con lo scopo di rilanciare il “ceto medio” e risollevare le imprese che, date le ridotte dimensioni, hanno faticato a sostenere la crisi economica. Vediamo, dunque, come funzionerebbe la nuova flat tax. Che dovrebbe entrare a pieno regime con la nuova legge di stabilità, dopo i correttivi al decreto semplificazioni, attuativo delle deleghe fiscali.
Flat tax in Italia: come funziona e a chi è rivolta
La tassazione “piatta” avrà un funzionamento simile a quello dell’attuale Ires. Vale a dire una aliquota al 27,5%, da applicare anche a società di persone e ditte individuali. La flat tax dovrebbe implicare, inoltre, un nuovo calcolo del reddito d’impresa, basato sulla cassa e non per competenza.
Spariranno quindi la no tax area e le detrazioni. Ma non per tutti. All’esame dell’esecutivo resta l’ipotesi di mantenere quest’ultime per i redditi più bassi. In modo da aggirare lo scoglio di una possibile illegittimità costituzionale. Il problema dell’applicazione in Italia della flat tax risiede proprio nella nostra Costituzione. All’articolo 53, infatti, essa stabilisce che tutti i cittadini debbano contribuire allo Stato sulla base della loro “capacità contributiva”.
Così come immaginata da Milton Friedman nel 1956, al contrario, la flat tax è un tipo di tassazione proporzionale. Esiste, infatti, una aliquota unica che i contribuenti sono chiamati a versare. Senza possibilità di detrazioni fiscali.
Ciò, comunque, non vuol dire che non possa essere applicabile. La stessa Carta riconosce più “criteri di progressività” che informino il sistema tributario. Detto altrimenti, se accompagnata da misure ispirate ad un sistema di tassazione progressiva, una flat tax è possibile.
Flat tax in Italia, un cavallo di battaglia del centrodestra
Torna, dunque, sulla scena uno degli storici cavalli di battaglia del centrodestra in termini di politica fiscale. Strenuo sostenitore fu, nel 1994, un esordiente Silvio Berlusconi. Che tentò una sua applicazione durante la XIV Legislatura (2001-2006). Un’operazione, che si inquadrava nella riduzione del carico fiscale, in violazione dei parametri di Maastricht.
Nel 2008 fu la volta dell’estrema destra. Con la candidata a premier di Destra e Fiamma Tricolore, Daniela Santanché, che la introdusse nel suo programma elettorale. Quindi, ultimo in ordine di tempo, il leader leghista Matteo Salvini ha promosso la flat tax al 15%.
Flat tax all’estero, l’Est Europa il terreno d’elezione
Anche all’estero, la flat tax ha infiammato nell’ultimo ventennio il dibattito politico. Rilanciata negli Usa durante l’amministrazione Bush, il vero territorio di applicazione, è l’Europa dell’Est. A cominciare dalle tre Repubbliche baltiche – Estonia, Lettonia e Lituania – sino alla Russia e all’Ucraina. Per passare, poi, ai paesi balcanici, alla Repubblica Ceca e alla Slovacchia, che l’ha, però, abolita nel 2013. In quest’ultimo paese, l’applicazione della flat tax, spiega sempre Money.it, ha avuto effetti positivi sull’economia del Paese. Dal 2004, infatti, la crescita economica è aumentata del 10%, mentre sono diminuite disoccupazione e debito pubblico.
C’è, comunque, un rovescio della medaglia. Sempre Money.it ne ha indicato le implicazioni, relazionate al caso della Repubblica Ceca. Qui, il problema riguarda gli svantaggi che ne derivano per quei pensionati e lavoratori meno abbienti. Che si trovano, dunque, a pagare maggiormente rispetto che con un sistema contributivo.