Felicità, verità, giustizia, fedeltà, sono tutti beni primari, originari, che non possono essere ricondotti a uno solo, fosse anche la felicità. […] Chi ha lasciato il proprio segno buono sulla terra, non ha vissuto la vita inseguendo la propria felicità. L’ha considerata troppo piccola. L’ha vista, qualche volta, ma non si è fermato a raccoglierla; ha preferito continuare a camminare dietro a una voce. Alla fine della corsa non resterà la felicità che abbiamo accumulato, ma se resterà qualcosa saranno cose molto più vere e serie. Siamo molto più grandi della nostra felicità.
Così scriveva l’economista Luigino Bruni nell’articolo “La felicità è troppo poco” pubblicato su Avvenire un anno fa. Così si intitola anche il suo nuovo libro, edito da Pacini, presentato venerdì 29 settembre 2017 durante la rassegna LoppianoLab; il tema di questa ottava edizione, che si svolge nella cittadella toscana di Loppiano, è “Né vittime né briganti. Cambiare le regole del gioco”. Il saggio di Bruni è stato presentato dalla filosofa sociale Elena Pulcini e da Nicolò Bellanca, docente di economia politica all’Università di Firenze; l’economista svizzero Luca Crivelli ha moderato la serata.
Pulcini: con Bruni, una cura per l’anoressia di emozioni empatiche
Elena Pulcini ha sottolineato l’accessibilità del libro, nonostante la ricchezza delle intuizioni in esso contenute, e si è soffermata su alcuni termini. Partendo dalla distinzione tra un benessere (well-being) individualistico e la felicità (bonheur) legata inscindibilmente al tessuto sociale e al sentimento, ha evidenziato come nella “forma di vita” capitalistica – nella quale siamo totalmente immersi, “è la dimensione dell’ovvio, sempre più difficile da sottoporre a critica” – vi sia quella che Bruni definisce “anoressia di emozioni”. In particolare, vengono meno quelle emozioni – parola vuotata dal capitalismo, che ha obliato le “passioni”, il pathos – empatiche che richiedono di uscire dal nostro guscio; si accendono sempre più, invece, quelle strumentali e di risentimento, all’origine di fenomeni quali il terrorismo e della cosiddetta “guerra tra sessi”.
Secondo la professoressa occorre “trascendere il sé è perché fa bene al sé”: per non soccombere al “narcisismo asfissiante”, quello che ci fa dimenticare anche della natura. Entrano in gioco dunque altri termini importanti. Gratuità, ovverosia non finalizzare le azioni ad uno scopo utilitaristico; beninteso, non si tratta tanto del vecchio utilitarismo, quanto di quello “predatorio, avido, patologico”. Elena Pulcini si è detta convinta che sia la gratuità a generare la felicità, non viceversa.
Altro termine è dono. Esso, a differenza delle donazioni, dei regali o di un’altruistica abnegazione, implica un vero sacrificio, un mettersi in gioco a partire dalla propria vulnerabilità; se è vero come dice Bataille che l’identità è sempre ferita, tenendo aperta la possibilità di essere ferito dall’altro si entra nella dimensione del dono. Sarebbe inoltre possibile salvare l’utopia “in una prospettiva non ideologica” grazie alla parola cura; così si potrebbe coniugare il principio responsabilità di Hans Jonas e la speranza di Ernst Bloch. “Cura è per me una parola eversiva, è un impegno, una pratica, uno stile di vita”, lei ha affermato.
Bellanca: caro Luigino Bruni, la regola dell’abbastanza non basta
Rilievi più critici sono stati avanzati da Nicolò Bellanca. Il professore è partito dalla categoria di reciprocità, perché è forse la più significativa per comprendere la prospettiva di Bruni, secondo il quale il soggetto si costituisce nella relazione. Tuttavia ha mosso alcune obiezioni sulla teorizzazione del “reciprocatore incondizionato”: una figura “angelicata” che coopererbbe sempre con l’altro, nonostante tutto. Bruni ammette che l’interazione possa cambiare la persona, la quale però interpreta la “ferita come una benedizione”; spiegazione legittima, ma che rientra più in una narrazione che non in una rigorosa analisi scientifica.
Al contrario, il concetto di homo oeconomicus può essere sottoposto a esperimenti empirici finalizzati a confermare o a smentire tale ipotesi. Un altro punto debole di Bruni potrebbe essere quello dell’affidarsi alla “regola dell’abbastanza”. Si tratta dell’“economia degli asparagi selvatici”, di cui si parla nell’introduzione al libro: gli asparagi vanno raccolti solo quando sono alti “abbastanza”. Tale buonsenso di bastevolezza però non sarebbe in grado di contrastare la logica esponenziale dell’interesse composto del modo di produzione capitalistico.
Nell’attuale sistema economico è mutato il modo in cui le persone cercano il potere, nonostante esso sia stato ricercato sempre in modo smisurato; si pensi ad Alessandro Magno. Bellanca allora si è domandato se possano davvero gli esseri umani evitare il perseguimento illimitato di potere; citando Norberto Bobbio, si preferisce essere liberi anziché schiavi, ma pure comandare anziché obbedire.
Altro punto è che non si può solamente sperare che piccole azioni ispirate alla logica della cura, della gratuità e della bastevolezza possano dirottare quel missile sparato chiamato capitalismo. Che però forse morirà di overdose, come profetizza il sociologo Wolfgang Streeck; secondo questa prospettiva “adultamente realista” – ha affermato Bellanca – “ci aspetta un prolungato periodo di interregno e di entropia sociale”.
Tarquinio: la politica torni ad avere un’anima
Al termine, Crivelli e Bruni hanno provato ad argomentare contro alcune osservazioni, soprattutto a proposito del “reciprocatore incondizionato”. Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, presente in sala, ha concluso invitando a riscoprire il senso del limite e a dare valore alla spiritualità per rivitalizzare pure la politica. Nell’auspicio che riesca ad uscire dall’asservimento alle logiche della sfera tecnocratica finanziaria.