Deleuze: il pensiero nomade e gli strumenti di dominio
Pensiero nomade è il titolo di un famoso testo presentato da Gilles Deleuze nel 1972, in occasione di un convegno il cui tema centrale era il valore e il significato della filosofia di Nietzsche a più di settant’anni dalla sua scomparsa.
Ciò che Deleuze sottolinea a più riprese nel suo intervento è che Nietzsche “ha rivendicato per se stesso e per i suoi lettori, un certo diritto al controsenso”, facendo del pensiero una “potenza nomade”, una “macchina da guerra” che guasta tutti i codici e non si lascia “ricodificare”.
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Deleuze: la codificazione
Nei concetti di “potenza nomade”, “macchina da guerra”, “codificazione” e “decodificazione”, riecheggiano alcuni motivi fondamentali del pensiero politico deleuziano.
Per Deleuze la vita nomade è una vita che resiste alla codificazione, una pratica per lui indissociabile dall’instaurazione di rapporti di dominio. La codificazione è infatti l’attività di regolamentazione e disciplinamento di cui si è sempre servita la forma Stato, e in generale il potere politico. Secondo il pensatore parigino la codificazione, come amministrazione totale di cose o persone, definisce “il problema del Sovrano, attraversando tutta la storia della sedentarietà, dalle formazioni dispotiche alle democrazie”.
La proficua collaborazione con Guattari: l’anti-Edipo
Nell’intervento del ’72 – lo stesso anno in cui, tra l’altro, Deleuze pubblicava con F.Guattari L’anti–Edipo – i mezzi della codificazione appaiono essenzialmente tre: la legge; il contratto; l’istituzione. Tali strumenti di potere agiscono sull’individuo anche nei casi più estremi, come nel caso della follia. L’internamento forzato nei manicomi è stato per Deleuze il primo esperimento di codificazione – quella repressiva – della follia attraverso la legge. Con la psicanalisi, poi, si è tentato di estendere le relazioni contrattuali a chi inizialmente ne era escluso, perché “incapace sul piano giuridico”. “I tentativi istituzionali”, infine, hanno provato a riconoscere la follia nella sfera delle consuetudini e all’interno della comune struttura sociale.
Deleuze: il nomadismo
Alla codificazione, secondo Deleuze, si oppone il gruppo nomade; quest’ultimo è un’unità non amministrata, una “macchina da guerra” che opera una “deterritorializzazione”. I nomadi sono difatti coloro che “vengono da fuori”, che si muovono alla “periferia” del potere, e che si sottraggono alle pratiche di “identificazione”. In antitesi a una forma di dominio che ingloba ogni specie di relazione in un enorme apparato funzionale, nel gruppo nomade nessuno assolve a una funzione, ma tutti “remano assieme”. Remare assieme, scrive il filosofo, “significa condividere, spartire qualche cosa, a prescindere da ogni legge, da ogni contratto, da ogni istituzione”.
La forza antisistemica del nomadismo
Le forze nomadi, dunque, non si lasciano assorbire nei dispositivi di dominio, ma ne fuoriescono costitutivamente, sfuggendo alla presa del potere e dando luogo a “un movimento di deriva”.
Scrive l’autore: “Dinanzi a società come le nostre che si decodificano e i cui codici fanno acqua da tutte le parti”. Nietzsche rappresenta la ribellione ad ogni tentativo di “ricodificare”. Reclamare il diritto al controsenso significa per Deleuze rendere impossibile il disciplinamento. Se egli vede un germe rivoluzionario in Nietzsche è perché il senso delle sue opere non si lascia imbrigliare nel codice dominante di significati, o, altrimenti detto, nel linguaggio del potere.
“L’alba di una controcultura”
Non integrati, non cristallizzati in un ruolo, i nomadi sono l’emblema di un’eccedenza che dà voce a un rifiuto. Se, come scrive il filosofo, “il nomade non è per forza qualcuno che si muove”, poiché “esistono anche viaggi sul posto, viaggi in intensità”, il nomadismo indica il movimento di un pensiero situato “all’alba di una controcultura” e al tempo stesso la via per “una politica nuova”.