Zygmunt Bauman: i caratteri delle formazioni identitarie
Nel 2003 viene pubblicata un’intervista a Zygmunt Bauman sul tema dell’identità; un’importante occasione per riflettere con il sociologo e filosofo polacco sulle possibili cause del desiderio identitario e sulla genealogia dell’idea stessa d’identità.
Secondo Bauman parlare di “identità” ha significato nel contesto di una battaglia, sia che si tratti di singoli individui; sia che ci si riferisca a intere comunità. Nell’intervista la parola “identità” viene descritta, per l’appunto, come “un grido di guerra usato in una guerra difensiva”; di essa si ci serve o per sostenere la causa delle differenze particolari, o per rinforzare le ragioni di una presunta o ideale unità collettiva.
In generale, sostiene Bauman,”il campo di battaglia è l’habitat naturale per l’identità”. I due valori principali per i quali si combatte sono da un lato la libertà di scelta, dall’altro la sicurezza. Il desiderio d’identità e il processo di identificazione, in più, si accompagnano, rispettivamente, ad un desiderio e ad un processo di separazione. La divisione e l’esclusione sono propositi inseparabili e difficilmente distinguibili dalle rivendicazioni identitarie.
Zygmunt Bauman: La finzione dell’identità
Per Bauman l’identità è il frutto di un’invenzione, non di una scoperta: non c’è mai già da sempre identità; essa, piuttosto, viene elaborata, ideata, indicata come un obiettivo e soprattutto non può dirsi mai realizzata. Solitamente, però, queste caratteristiche sono dissimulate da chi punta ad ottenerla e mantenerla. Tale dissimulazione, tuttavia, appare al filosofo quasi impossibile nel mondo contemporaneo; un mondo in cui si rende evidente tutta la precarietà delle formazioni identitarie.
L’idea che l’identità sia una finzione è il presupposto nell’intervista per analizzare il problema identitario in relazione alla sua nascita. Secondo Bauman solo in seguito alla disgregazione e all’indebolimento dell’unità delle comunità locali; comunità nelle quali ciascuno aveva il proprio posto, prefissato e indiscusso – l’identità si presenta come “problema”.
Ad introdurre tale problema è per Bauman lo Stato moderno, nel contesto delle pratiche di legittimazione della sovranità territoriale. L’idea di identità nazionale, in particolare, non è vista dal pensatore come “un parto naturale dell’esperienza umana”; perché di essa si fa esperienza per la prima volta come di un compito.
“L’appartenenza per effetto della nascita” e “l’appartenenza a una nazione” non erano, almeno inizialmente, naturalmente consequenziali. Allo Stato moderno interessava calcare i confini dell’integrazione e dell’esclusione; l’identità nazionale serviva a questo scopo; come prima legge di inclusione e di estromissione. Qualsiasi identità; anche di gruppo, doveva poter rientrare nel grande “Noi” della nazione.
Zygmunt Bauman: la perdita di solidità dell’identità
Nel corso della modernità, secondo Bauman; le formazioni identitarie hanno perso quei punti di riferimento fissi. Davano loro stabilità e apparente naturalezza (la famiglia, lo Stato, la Chiesa, il lavoro, la comunità dei vicini).
Il desiderio di nuove comunità, così diffuso nel presente, nascerebbe, allora, dalla speranza di ritrovare il “sentimento di un noi”; un sentimento di comune appartenenza e di “dare sostanza all’identità personale”.
Le società contemporanee, nota Bauman, sono divise tra chi si affanna a “comporre e decomporre” un’identità; chi si vede rifiutare il proprio riconoscimento, rimanendo costretto a portare “il fardello di identità imposte”. Esclusi da questa distinzione; scrive il filosofo, sono coloro a quali viene totalmente negato il diritto alla rivendicazione di un’identità distinta da quella attribuita.