Giovedì il Ministro della Difesa russo Sergej Shoigu ha annunciato la fine delle esercitazioni militari russe in Crimea e nella regione di Voronezh, a poche centinaia di chilometri dal confine con l’Ucraina. Di conseguenza, le truppe dislocate nelle scorse settimane, circa 100.000 in tutto secondo le stime, si ritireranno. La loro partenza lascerà dietro di sé numerosi interrogativi. É stata davvero un’esercitazione militare per testare la capacità di risposta ad un attacco al confine occidentale della Federazione, così come dichiarato dai russi? Oppure si è trattato di provocazione nei confronti della NATO, quando non addirittura di un preludio ad un’eventuale invasione dell’Ucraina?
La questione russo-ucraina: la versione di Mosca
Le relazioni tra Mosca e Kiev sono tese dal 2014, quando la prima annesse la Crimea e fornì sostegno ai ribelli del Donbass. Da allora la politica del Cremlino in Ucraina si è fondata su due punti. Il primo consiste nella difesa della sua sovranità sulla Crimea. La Russia infatti giustifica ciò attraverso il principio dell’autodeterminazione dei popoli.
A sostegno della sua tesi porta i risultati di un referendum indetto subito dopo l’occupazione della penisola, che confermano la volontà della maggior parte degli abitanti di far parte della Federazione Russa. Il secondo punto consiste nel proporsi come mediatore tra l’Ucraina e le repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk. In Donbass, la Russia si dichiara parte estranea al conflitto ma intrattiene rapporti con i ribelli sulla base della comune appartenenza all’etnia russa.
A più riprese Mosca è stata accusata di aver fornito sostegno militare alle due repubbliche, ma ogni volta ha negato tutto. Secondo Putin infatti le due repubbliche dovrebbero ritornare a far parte dell’Ucraina, che in cambio dovrebbe garantire ampia autonomia alle aree a maggioranza russa.
La questione russo-ucraina: la versione di Kiev e delle diplomazie occidentali
L’Ucraina e i suoi partner europei e americani la vedono diversamente. Entrambi infatti contestano la sovranità russa sulla Crimea in base al principio di integrità territoriale. Leggermente diversa è invece la visione della situazione in Donbass. Kiev ha sempre sostenuto che il sostegno russo ai separatisti sia anche di natura militare.
Ne consegue quindi che Mosca non viene considerata un mediatore affidabile in quanto parte coinvolta nel conflitto. Per questo motivo a più riprese l’Ucraina ha chiesto di poter entrare nella NATO oltre che nell’Unione Europea. I partner europei e americani mantengono tradizionalmente un atteggiamento più prudente. Da una parte non viene esclusa la possibilità di interventi russi in alcune fasi del conflitto.
Dall’altra non si vuole arrivare alla piena rottura con la Russia, riconoscendole il ruolo di mediatore nel dialogo con i ribelli. Le posizioni assumono contorni più precisi quando si viene alla questione UE e NATO. Nel primo caso si mantiene una postura ambigua: i negoziati per l’ingresso di Kiev nell’UE potranno riprendere quando il Paese godrà di maggiore stabilità politica. Il che è molto difficile da prevedersi. Nel caso della NATO invece l’opinione comune è contraria. Poiché non è chiara la natura del sostegno russo ai ribelli, l’ingresso ucraino nell’Alleanza potrebbe spingerla in qualsiasi momento ad un confronto diretto con Mosca, che nessuno desidera.
Gli avvenimenti delle ultime settimane
Che Putin talvolta senta la necessità di rimarcare il suo potere di dettare le sorti del suo “estero vicino” è cosa nota ormai a tutti. Che stavolta lo abbia fatto attraverso un dispiegamento di truppe di dimensioni mai viste tuttavia ha destato più di un allarme. A fine marzo, le foto diffuse da numerose agenzie stampa raffiguranti un’inedita concentrazione di equipaggiamento militare a poche centinaia di chilometri dal confine ucraino hanno mandato in subbuglio le cancellerie atlantiche. A complicare ulteriormente la situazione sono state le dichiarazioni di entrambe le parti in causa.
Diversi funzionari russi hanno ribadito il diritto di Mosca di spostare le truppe all’interno del suo territorio secondo necessità. Inoltre, l’Ucraina è stata accusata di alzare la tensione e di preparare un’offensiva dagli esiti devastanti per le popolazioni russe. In quel caso, la Russia si sarebbe riservata il diritto di rispondere nel modo più opportuno per garantire la sicurezza dei propri connazionali. Il Presidente ucraino Zelensky dall’altra ha invocato un maggiore coinvolgimento dei partner per dissuadere la Russia dall’offensiva. Diverse sono le interpretazioni dei fatti degli ultimi giorni.
La tesi filo-russa
Il ritiro delle truppe e il conseguente rientro della crisi potrebbero essere interpretate come un segnale di ritirata dei russi. A Mosca, al contrario, si parla di successo operativo e strategico. Operativo perché la Russia ha dimostrato ancora una volta il salto di qualità compiuto dalle sue forze armate e dai loro dirigenti. I contingenti dispiegati di recente erano di gran lunga meglio armati e addestrati di quelli stanziati all’inizio delle violenze.
Secondo uno studio citato da The Economist, la Russia è in grado di dispiegare in 30 giorni 100.000 truppe armate pesantemente lungo i confini occidentali. La NATO invece nella stessa finestra temporale è in grado di trasportare a est la metà dei soldati, per di più armati alla leggera. L’esercitazione degli ultimi giorni quindi è un monito a chiunque voglia oltrepassare quelle linee rosse che Putin si riserva di tracciare ogniqualvolta sarà ritenuta a rischio la sicurezza nazionale russa. Strategico perché ancora una volta la Russia si è rivelata l’arbitro indispensabile della stabilità della regione, l’unico attore in grado di influenzare lo svolgimento di ogni crisi.
La tesi filo-occidentale
A ovest invece la lettura degli ultimi eventi premia sia l’uomo forte di Kiev che quello di Washington. Nel primo caso Zelensky si è dimostrato in grado di muoversi in un contesto delicato senza compiere azioni che potessero causare un’escalation. Egli ha inoltre abbandonato la postura tradizionalmente conciliatoria nei confronti della Russia a favore di una più intransigente. All’interno dei confini ha chiuso tre emittenti televisive considerate troppo vicine al Cremlino.
In politica estera invece si è deciso di sfruttare a pieno i canali diplomatici, complice, soprattutto, il recente cambio di inquilino alla Casa Bianca. Washington ha articolato la sua risposta in tre direzioni. In primo luogo ha additato la Russia come potenziale fattore di escalation in Ucraina. Quindi ha dichiarato ancora una volta la sua volontà di sostenere l’integrità territoriale ucraina.
Infine ha annunciato l’invio di 500 soldati in Germania per potenziare i dispositivi di difesa NATO e ha elevato ulteriormente il livello di allerta dell’Alleanza. In questo modo Biden ha dimostrato ai partner e agli avversari che gli Stati Uniti sono di nuovo disposti ad occuparsi delle crisi regionali.
L’atteggiamento europeo
L’Europa dal canto suo si è dimostrata ancora una volta divisa. I Ventisette hanno si sono dichiarati preoccupati per l’aumento delle tensioni soprattutto nel Mar Nero, dove la Russia desidera esercitare in maniera più forte il suo controllo sullo Stretto di Kerch. Il Ministro degli esteri di Kiev è stato quindi invitato ad uno scambio di vedute con i suoi omologhi UE. Ma non ci si è spinti oltre. Mosca (e non solo) è abituata a mosse di questo genere e ne conosce molto bene il peso specifico.
Se poi si aggiunge che i Ventisette hanno escluso la possibilità di ulteriori sanzioni alla Russia, allora è chiaro che l’efficacia della diplomazia UE in questo frangente è pressoché nulla. La Germania, interlocutore di falchi e colombe, è restia ad interrompere la collaborazione con i russi, soprattutto nel campo energetico.
Ma quasi nessuno, soprattutto con la difficile situazione economica che la pandemia di Coronavirus comporta, è disposto a rinunciare ad un partner importante come Mosca. E soprattutto quasi nessuno è disposto a farlo per venire incontro alle richieste di un Paese che non è nemmeno nell’Unione.
E adesso?
La prossima mossa sarà nelle mani di Biden e Zelensky. Il primo prevede di incontrare Putin in un Paese terzo per discutere di numerose questioni, tra le quali quella ucraina. Il secondo invece è stato invitato a Mosca da Putin per affrontare il tema dei rapporti bilaterali. Ma non si parlerà di Donbass: la Russia considera la questione una crisi tutta ucraina. Se Zelensky vorrà affrontare la questione, quindi, dovrà farlo solo dopo aver parlato con i leader separatisti. Crisi rientrata, almeno per adesso.