Quello che è avvenuto nell’aula del Parlamento Europeo di Strasburgo nel pomeriggio di mercoledì è qualcosa di anomalo. Se consideriamo alcuni casi “peculiari” e legati all’inizio di determinati semestri europei (il famoso “kapò” che Berlusconi attribuì a Schulz, ) difficilmente il discorso d’apertura del semestre è fonte di grandi litigi o nette prese di posizione (si ricordi sul tema, a parte il contestato discorso “Gas and Gaza” del ceco Topolanek nel gennaio 2009, la forte presa di posizione di Monica Frassoni contro Gordon Brown). Anzi. Molto spesso l’Unione Europea è criticata in quanto struttura bravissima nell’enunciare principi, ma debole nel metterli in pratica. Nonostante questa prassi e questa consuetudine al seguito dell’intervento del Presidente di turno dell’Unione Europea e del Presidente uscente della Commissione, il neo-capogruppo del Partito Popolare Europeo Weber ha fortemente attaccato la posizione del premier italiano Renzi criticando l’Italia in quanto paese poco affidabile nel mantenimento della parola data.
L’esponente tedesco ha preso di mira un intervento che (nonostante la voluta genericità delle misure concrete in materia economica) poneva il suo accento molto sulla flessibilità e poco sul rigore dei conti pubblici. Un battibecco che ha avuto una sua continuazione con la polemica tra il governo italiano e la Bundesbank tedesca, prontamente stroncata dallo stesso portavoce di Angela Merkel. La vicenda lascia molto interrogativi, ma due punti su tutto meritano la nostra attenzione:
-In primo luogo l’intervento di Weber evidenzia una contraddizione insita in molti raggruppamenti politici europei. Contraddizione già messa in evidenza nel corso delle ultime elezioni con la possibilità di indicare il candidato alla Presidenza della Commissione Ue. Se infatti, giusto per fare un esempio, il gruppo ECR (Conservatori e Riformisti Europei) non ha indicato un proprio candidato non in quanto privo di personale politico ma quanto contrario al fatto che il Parlamento e il suffraggio popolare potessero esprimere un’indicazione di questo tipo, una vicenda di egual tenore emerge in seno al Ppe. Perché tutti noi abbiamo elementi sufficienti per credere che l’intervento del capogruppo Weber non sia concordato e condiviso da gran parte della sua famiglia politica europea. Una scena balza agli occhi: accanto a Weber nel corso del suo criticato intervento siedeva la graziosa Lara Comi. Vicepresidente del Ppe ed esponente di un partito politico che ha fatto del rigore di marca tedesca il proprio avversario principale. Del resto le dichiarazioni dei vari Fitto e Toti nelle stanze di Strasburgo sono state quanto mai critiche nei confronti di Weber portandogli a dichiarare che “non parlava a nome nostro”. Da questo siparietto esce fuori però un grande insegnamento politico: i popolari europei sono per un’Europa intergovernativa (quella di fatto al potere in questi anni) in cui difficilmente in termini di politica economica possono esserci terreni di sintesi: non c’è alcun continuum destra-sinistra in questo approccio. La dicotomia sarà sempre tra rigoristi del nord Europa e i pro-flessibilità del sud Europa. Il Partito Popolare Europeo con questa sua impostazione di “Europa delle Patrie” di fatto sta abdicando nel poter definire una propria proposta politica condivisa e non divisiva tra i suoi membri.
-In secondo luogo ci si chiede per quali motivi Weber abbia utilizzato toni così forti nonostante già esistesse un accordo di massima (attraverso un documento) tra socialisti e popolari per l’elezione del lussemburghese Jean-Claude Juncker. La risposta in questo caso è: gioco di ruolo. Weber è un tedesco, ma in primo luogo è un bavarese. Il suo partito non è la Cdu di Angela Merkel, ma la “federata” Csu che già fu di Edmund Stoiber. Una forza politica da sempre meno “centrista” della gemella teutonica e quanto mai oltranzista sui temi economici. Weber in Europa e Scheauble in patria hanno dunque il compito di non far spaventare l’elettorato tedesco: vigiliamo noi sugli spendaccioni del Club-Med. Angela Merkel e il resto della banda invece garantiscono la tenuta dell’accordo politico che già il Financial Times ha tratteggiato come se fosse alla base di un direttorio con Renzi. Non va sottovalutata la potenzialità della presidenza Renzi in questa fase: l’Italia non solo gestisce il semestre europeo. Ma detiene anche il capogruppo del secondo raggruppamento parlamentare (Gianni Pittella), il vicepresidente vicario del Parlamento Europeo (Antonio Tajani), il governatore della Banca Centrale (Mario Draghi) e presumibilmente a breve un commissario di peso (addirittura si parla della Pesc, che comporterebbe anche la vicepresidenza della Commissione). Il tutto in quadro in cui la Commissione attuale è uscente e la nuova non si insedierà prima di novembre. Ciò non toglie che, prima con le nomine europee e poi con la politica, Angela Merkel farà di tutto per mantenere la centralità del suo ruolo politico continentale. Con o senza Francia.