Disinformazia: Post-verità, Fake News e social media, dialogo con Nicodemo
Disinformazia: Post-verità, Fake News e social media, dialogo Francesco Nicodemo
Nel 2016, come ogni anno, l’Oxford Dictionary sceglieva il termine da incoronare come parola dell’anno. In quell’occasione, la scelta ricadde su un vocabolo già allora molto in voga. Stiamo parlando del termine Post-Truth.
Post-Truth, il corrispettivo inglese dell’italiano “Post-Verità”, per l’appunto. Utilizzato il più delle volte a sproposito, spesso per descrivere un’ampia varietà di fenomeni legati al mondo dell’informazione, varie definizioni sono state date al termine.
In generale, il termine indica circostanze rispetto alle quali i fatti oggettivi influenzano l’opinione pubblica non per ciò che essi sono ma per il modo col quale vengono raccontati. La Post-Verità, dunque, colpisce la sfera emotiva delle persone. Questo, a tal punto che la verità – intesa come obiettivo ultimo della comunicazione e dell’informazione – pare oggi cedere il passo alla disinformazione.
Disinformazia e Brexit
Fake news, Bias, camere dell’eco, clickbaiting; questi fenomeni fanno parte di quel “rumore” di fondo che caratterizza oggi il web e i social network. Le Fake News sono state definite da molti come il pericolo, la minaccia più grande per la salute delle nostre stesse democrazie. La Brexit, l’elezione di Donald Trump, l’esito del referendum costituzionale del dicembre 2016; questi eventi sono stati visti come la vittoria dei grandi manovratori che si agitano nella rete e che agiscono diffondendo notizie false.
È per questo che, nell’intento di fare chiarezza del fenomeno della Post-Verità, delle Fake News e, più in generale di capire lo stato della comunicazione nell’età dei social media, è nato Disinformazia. La comunicazione al tempo dei social media (Marsilio, 2017), l’ultima fatica di Francesco Nicodemo.
Disinformazia. La comunicazione al tempo dei social media: dialogo con Francesco Nicodemo
Napoletano, classe ‘78, una laurea in lettere classiche, Nicodemo lavora nello staff del Premier Paolo Gentiloni. Già consigliere di Matteo Renzi, nonché responsabile della comunicazione del Partito Democratico dal dicembre 2013 al settembre 2014, ha accettato di parlare con noi proprio di Disinformazia.
Francesco, grazie innanzitutto della tua disponibilità. All’inizio di “Disinformazia” citi la copertina di Time che nel 2006 incoronò “You” (Ognuno di noi) come personaggio dell’anno. A distanza di ormai undici anni, credi effettivamente che le persone siano al centro dei processi sociali o si siano fatte sopraffare dalla forza dei social media?
Quella copertina ancora oggi fa effetto. Ad alcuni anni di distanza tuttavia credo che prima di tirare le somme, sia giusto essere consapevoli del fatto che c’è ancora molto da capire della rete e soprattutto di come stare in rete. Ci siamo ritrovati con questo strumento potentissimo. Le nuove generazioni sono più avvantaggiate di noi perchè hanno avuto da subito più occasioni di utilizzo del mezzo e quindi hanno maggiore dimestichezza. Al contrario, le altre generazioni – la mia magari meno, quella dei miei genitori magari di più – si sono trovate ad avere a che fare con uno strumento senza capire forse fino in fondo potenzialità e rischi.
Rischi dei social su Disinformazia
Quanti sono davvero consapevoli del meccanismo che viene innescato da un “condividi” o da un “pubblica”? Quanti si rendono effettivamente conto di essere allo stesso tempo fruitori e produttori di informazioni? E ancora, come si gestisce il conflitto in rete quando si interagisce con chi non la pensa come noi? Potrei continuare ma ciò che voglio sottolineare è che ancora non abbiamo quella sorta di educazione digitale necessaria per essere al centro di queste dinamiche. Il motivo, probabilmente, risiede nella velocità con cui questa vera e propria rivoluzione è avvenuta. Quindi, prima di trovare protagonisti e comparse tra rete e utenti, forse sarebbe opportuno continuare a studiarla e a moltiplicare le occasioni di alfabetizzazione digitale.
Internet e i social in Disinformazia
Internet, Facebook e i social network sono da sempre considerati come dei free market place of ideas, ovvero un vero e proprio libero mercato delle idee. Il fenomeno delle fake news, prodotto di questi stessi spazi, ha di fatto limitato le potenzialità e la pluralità di Internet?
Le notizie false o inesatte esistono da sempre. Il fatto è che si sono adattate ai mezzi che hanno a disposizione per diffondersi. Ultimamente ,si sente parlare molto di fake news. Il Collins Dictionary considera addirittura questa locuzione la parola dell’anno con un utilizzo aumentato del 365% rispetto al 2016, come riporta tra gli altri il Guardian. Molte sono le iniziative a cui si sta pensando per contrastare il fenomeno della disinformazione online. Tuttavia secondo alcuni, la tendenza a ricercare solo notizie che confermano le opinioni che già si hanno potrebbe vanificare ogni tentativo di fact checking e debunking.
Quindi, se c’è un pregiudizio di fondo o una sfiducia nei confronti delle Istituzioni o dei media, contrapporre i fatti alle bufale potrebbe non bastare per arginare la cattiva informazione in rete. Secondo uno studio della Yale University pubblicato lo scorso agosto, accrescere la fiducia nelle fonti di notizie e favorire la predisposizione al pensiero analitico sono più efficaci nel contrastare le fake news. Anche questo è un altro aspetto dell’educazione digitale di cui tutti abbiamo ancora bisogno e a cui facevo riferimento in precedenza.
Disinformazia, l’intervista
Ad un certo punto del tuo libro, si legge una sezione dal titolo “Dubito quindi sono” di cartesiana memoria. A tuo parere, esercitare il dubbio su tutto ciò che si legge online può essere la soluzione al “rumore” della rete? C’è minore capacità critica nelle persone oggigiorno?
Non credere a tutto quello che si legge in rete va bene. Dubitare anche di fatti e teorie dimostrate e accettate universalmente naturalmente non va bene. Per spiegare come si fa a distinguere il vero dal falso serve molto insegnare ai nostri ragazzi l’importanza del pensiero critico. Inoltre i più esposti alla disinformazione online probabilmente non sono i nostri ragazzi, ma siamo noi adulti, quelli analogici. Ancora una volta quindi sottolineo l’importanza di programmi di educazione al digitale.
Dal dicembre 2013 al settembre 2014, sei stato responsabile della comunicazione del Partito Democratico. Tornando per un attimo alla sconfitta del referendum costituzionale: secondo te quali sono stati gli errori nella comunicazione del fronte del “Sì” e che peso hanno avuto le fake news nel complessivo della consultazione?
Il risultato della consultazione referendaria del 4 dicembre 2016 è dipeso da vari fattori. Sulla comunicazione abbiamo assistito a una sorta di “uno contro tutti” perché attorno al no alla riforma si sono aggregati molti soggetti sia politici che sociali e quindi c’era uno squilibrio tra le due parti sulla rete. In casi come questo di solito si cerca di compensare moltiplicando le interazioni, attivando community e influencer in grado poi di coinvolgere a loro volta volontari ed elettori online e offline. Probabilmente questo non è avvenuto in misura sufficiente. La comunicazione per il sì per certi aspetti ha assunto soprattutto i connotati della propaganda, peraltro concentrata su poche pagine presidiate quindi dagli attivisti degli avversari politici presenti invece su molte più pagine.
Disinformazia e cinque stelle
“Uno vale uno”, lo slogan dei cinquestelle. Da esperto della comunicazione online, sul web veramente “Uno vale uno”, oppure c’è qualcuno che vale di più? Internet può veramente essere uno spazio di cyber-democrazia?
Teoricamente tutti sulla rete sono sullo stesso piano. Vi sono però delle considerazioni da fare. Se ci si basasse solo su quello che si legge in rete per testare una tendenza o fotografare un momento, si rischierebbe di rappresentare solo una parte dell’opinione pubblica. Magari proprio quella più “rumorosa” o meglio organizzata. Inoltre, proprio l’eliminazione di ruoli in rete pone tutti- esperti e non su determinate materie- sullo stesso piano. Tuttavia, questo non deve farci dimenticare che le differenze in questo caso esistono; che naturalmente su questioni specifiche le competenze non possono essere ignorate e nemmeno l’autorevolezza delle fonti.
Perché consiglieresti di leggere Disinformazia?
Consiglio di leggere Disinformazia per lo stesso motivo che mi ha spinto a scriverlo; perché sono curioso di capire la comunicazione al tempo dei social media; perché voglio comprendere opportunità e aspetti più o meno critici e controversi della rete. Ho provato ad affrontare questo tema e a ogni presentazione del mio libro aggiungo un ulteriore tassello grazie allo scambio di idee con chi l’ha letto e si pone più o meno le stesse domande. Se anche voi volete capire la rete e viverla in maniera consapevole, potete leggere Disinformazia e dirmi cosa pensate di questi argomenti perché un libro del genere, di comunicazione, necessita di interazione e confronto.