Verità da amare nell’epoca delle fake news
Oggi c’è chi invoca la fine dell’idea di verità per togliere l’impiccio della necessità di distinguere tra notizie vere e false. E promette: solo narrazioni forti possono farci vincere contro le bufale. Ma davvero possiamo fare a meno di amare la verità?
La post-modernità: racconto dunque sono
Nello scenario politico italiano si è accesa, in questi ultimi giorni, la polemica sulle fake news. Le dichiarazioni del Partito Democratico e di Renzi alla Leopolda, dopo l’inchiesta del New York Times, hanno sollevato un polverone che ha portato Movimento 5 stelle e Lega nell’occhio del ciclone. La domanda su come si possano selezionare notizie vere da quelle false è sempre più urgente nell’epoca dello scoop a portata di click; il tema, inoltre, diventa ancora più caldo in vista delle prossime elezioni. Si può pensare che nell’era di internet la campagna elettorale sia fatta a colpi di fantasiose divulgazioni?
Sembriamo tornati indietro di un secolo, eppure la rete ci prometteva un balzo grandioso verso la trasparenza e l’informazione. In questo contesto c’è chi, addirittura, invoca la priorità di narrazioni potenti da opporre a chi divulga notizie false poiché, si dice, è venuto il momento di fare a meno della verità e dei fatti. «Eccoci nell’epoca della post-modernità»! Si compiacciono costoro, divertendosi a incasellare la complessità in post di Facebook. Ma davvero possiamo fare a meno della Verità?
Un problema non nuovo
In realtà la questione non è inedita. Il relativismo, che nient’altro è se non l’assolutizzazione di ciò che è relativo, è vecchio almeno quanto la sofistica, movimento filosofico greco del V secolo a.C., preso di mira già da Socrate, Platone e Aristotele. I Sofisti, proprio come i post-modernisti, ritenevano che la verità intesa come fondamento del reale che spiega tutto ciò che è (to on in greco) fosse inaccessibile all’uomo. In effetti hanno avuto un merito non da poco: hanno liberato la ricerca filosofica di un certo affanno per il principio e aperto la via ad una delle più grandi rivoluzioni della storia del pensiero, la filosofia socratica, impensabile senza la sofistica.
Ma Socrate fu molto più acuto: senza la ricerca della verità, ci si convince di essere sapiente proprio laddove non si sa nulla. Nemmeno di non sapere. E ignorare di non sapere, che significa fare a meno della verità, ovvero di un orizzonte reale verso cui orientare le proprie idee, è la radice di ogni intolleranza.
Che cos’è la Verità?
Ma a cosa possiamo riferirci quando parliamo di Verità? Sicuramente non il possesso di un concetto, lo sappiamo. La realtà non si lascia totalmente imbrigliare dal nostro tentativo di pensarla. Tuttavia, l’idea stessa del pensiero e la possibilità di conoscere qualcosa, richiedono uno sfondo su cui la nostra libera autocoscienza (come Hegel chiamava il concetto) esercita la sua attività. Questo “sfondo” la tradizione filosofica greca lo ha chiamato aletheia, verità in greco, che etimologicamente significa “non oscuro” e quindi “luminoso”.
La Verità è, quindi, questione di luce. È da essa che distinguiamo il colore, più o meno vero, di tutte le cose che sono. Le nostre idee, in questo senso, fungono come delle fotografie. Esse cercano di raccogliere questa luminosità, a volte oscura, per farci vedere più chiaramente, per muoverci con più agio nel mondo. Sembra persino quasi superfluo rimarcare come la rinuncia allo sfondo di luce sia impensabile se davvero si vuole vedere; tuttavia non è nuovo l’annuncio, a volte un po’ goffo ma rivestito di grande retorica, di chi dice «la luce è morta». Annuncio che nasce da una buona preoccupazione: evitare che la luce della verità diventi possesso privato e rinneghi la sua natura di fonte naturale che ci permette di esserne scintille. Ma dove può portare?
Cosa rischiamo senza ricerca della Verità?
Tale annuncio innesca su una pigrizia logica: ritenere che qualcosa non esista per paura che qualcuno se ne impossessi. L’intolleranza, infatti, non può nascere dall’esistenza della luce; a ben vedere essa si staglia in chi tenta di fare della Verità un suo territorio, anche se, per loro natura, lo sfondo e l’orizzonte non si lasciano trasformare in conquiste. E, spesso, fa della Verità un suo territorio chi, magari inconsapevolmente, crede che non ne esista una; ad esempio, chi ritiene che essa sia da costruire grazie ad una narrazione forte, chiara ed efficace. Il nazismo, il fascismo e lo stalinismo, non si basavano proprio su questo? Sul trionfo di una volontà che si sostituisca alla Verità e diventi destino?
La rinuncia alla Verità è esplosa, infatti, nello scenario politico del ‘900, dove si sono viste le conseguenze più disastrose. Se non c’è lo sfondo di riferimento, se non ci sono fatti, posso dire quello che voglio; ad esempio che il contesto internazionale è frutto di una congiura sionista o che la mancanza di cibo è colpa dell’avarizia dei kulaki, o che il disagio sociale del dopoguerra fosse dovuto, ipso facto, all’esistenza di una classe politica, chiamata spregiativamente giolittiana, e all’invidia occidentale. Se si osservano questi fenomeni da vicino riflettono alcune dinamiche comuni: si prendono parti parziali della verità-sfondo (eccessiva speculazione finanziaria, avidità di chi detiene grandi interessi, mancata redistrubizione sociale) e si assolutizzano in nome di una narrazione che si vuole sostituire allo sfondo per ripensare, alla sua luce, tutto quello che accade.
Verità testimoniata o idea imposta?
In altri termini la ricerca della Verità salva dall’ideologia poiché l’alternativa è l’imposizione dell’idea. Solo se sento che, continuamente, la mia visione della realtà deve attuare uno sforzo di approfondimento per avvicinarsi sempre più alla Verità, posso mettermi in ascolto dell’altro. Solo se sono consapevole che la Verità c’è e non sono io, apro lo spazio di confronto reale, ascolto sincero, approfondimento del mio limite.
Un uomo come Socrate lo ha capito e insegnato; ogni volta che trovava quelli che si ritenevano tanto sapienti da fare a meno della verità, mostrava quanto ridicola fosse la loro costruzione. Per questo, ci dice nell’Apologia, è stato ucciso. Sì, l’amore per la Verità può attirare odio; ma, allo stesso tempo, la sua testimonianza libera gli uomini, perché permette di riconoscere chi è davvero umile, alla ricerca del bene comune, e chi cerca semplicemente di apparire. Se le città e le società si costruiscono sui primi, hanno speranza; se scelgono i secondi, non hanno un futuro.
Davide Penna per il blog Nipoti di Maritain