Tensioni tra Israele e Palestina. Un’altra guerra all’orizzonte?
(In collaborazione con Mediterranean Affairs)
Le relazioni di Israele con i palestinesi sono di nuovo in fermento. Il 12 giugno sono stati rapiti tre giovani israeliani, Ghilad Shaar, Eyal Yifrach e Naftali Frenkel, vicino a Hebron nel territorio della West Bank. Dopo due settimane i loro corpi sono stati trovati in una fossa poco profonda in un’area aperta vicino la zona di Halchul. Nelle operazioni di ricerca da parte dell’esercito israeliano sono rimasti uccisi 9 palestinesi e ne sono stati arrestati circa 500. Il portavoce dell’esercito ha dichiarato che sono ancora ricercati i due militanti di Hamas che Israele considera responsabili del rapimento dei tre ragazzi. L’escalation di violenze ha causato la ritorsione da parte di un gruppo di estremisti israeliani nei confronti di un giovane palestinese 16enne Mohammed Abu Khdeir, che è stato bruciato vivo.
Uno scambio di condoglianze tra il premier Benyamin Netanyahu e il presidente Abu Mazen c’è stato, sebbene tra loro non scorresse buon sangue sin dalla notizia della riconciliazione tra Fatah e Hamas, due gruppi con pensieri diametralmente opposti. Il primo, disponibile alla sussistenza di due Stati; l’altro integralista, che ha sempre negato la possibilità di riconoscere lo Stato di Israele. Il premier israeliano, in quest’occasione, ha chiesto al Presidente Abu Mazen di “annullare” il governo tecnico di unità nazionale presieduto da Rami Hamdallah.
La comunità internazionale ha espresso la sua solidarietà alle famiglie delle vittime ed ha invitato a mantenere la calma, ma sembra che la situazione stia per degenerare. Con l’intensificarsi di razzi che nelle ultime settimane sono partiti da Gaza, il ministro degli esteri israeliano Avigdor Lieberman ha auspicato un attacco contro Hamas, nella Striscia di Gaza, con un’operazione denominata “Scudo difensivo 2” sul modello di quella di 10 anni fa in Cisgiordania; allo stesso tempo, il capo del partito della destra religiosa, Naftali Bennett, ha proposto una lista di otto possibili azioni tra cui la confisca dei fondi della fazione islamica nelle banche della Cisgiordania e l’introduzione della pena di morte per i terroristi condannati per omicidio dai tribunali militari. Incurante della pericolosità di tali proposte, ha dichiarato che “tanto, alla fine, ci sarà la guerra con Gaza e quindi meglio che la iniziamo noi”. Dall’altra parte l’ANP attraverso il suo portavoce Ihab Basseso ha chiesto alla comunità internazionale protezione dalla continua escalation di violenza da parte di Israele.
Tutto fa pensare all’inizio di un’altra guerra nel Medio Oriente. Ma sarà davvero cosi? Nelle ultime ore il braccio armato di Hamas, le Brigate Ezzedin al-Qassam hanno lanciato missili verso la zona centrale di Israele. Il governo Netanyahu ha risposto con raid aerei e si sospetta un offensiva terrestre a Gaza.
Il conflitto israeliano-palestinese coinvolge diversi attori internazionali e minaccia di modificare i delicati equilibri mediorientali. Washington ha appoggiato le azioni di Israele a Gaza, non omettendo di sottolineare che l’unica soluzione per lo Stato ebraico di vivere in pace e sicurezza è riconoscere lo Stato Palestinese Indipendente, mentre l’Unione Europea e le Nazioni Unite hanno consigliato moderazione da entrambe le parti.
Francia e Italia condannano gli attacchi sulle aree civili e chiedono che sia rispettata la tregua del 2012 e dalla Organizzazione degli Stati arabi si apprende che il Segretario generale della Lega Araba, Nabil el-Araby, ha chiesto una riunione immediata del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha rafforzato le chiusure sul confine tra Egitto e Gaza, aumentando la pressione economica su Hamas. Egli ha dichiarato che potrebbe esercitare sforzi per un immediato cessate il fuoco.
In questo scenario i Paesi Arabi del Golfo, Arabia Saudita in testa, conoscono il peso di Israele negli Stati Uniti e ritengono di dover salvaguardare alcune relazioni con Tel Aviv. Secondo Wikileaks, Israele ha rafforzato la cooperazione con Arabia Saudita in seguito all’accordo delle grandi potenze con l’Iran e all’accordo che toglie alla Siria le armi chimiche. Un rapporto dell’esercito israeliano conferma che sono state vendute forniture militari agli Emirati Arabi Uniti, Marocco ed Algeria.
Dall’altra parte, se iniziasse un nuovo conflitto, chi sosterebbe i palestinesi? C’è stato un rimescolamento delle carte delle alleanze sulla base delle linee settarie regionali. Hamas ha preso le distanze dal governo di Damasco, dichiarando di appoggiare l’azione dei manifestanti sunniti contro di esso e questo ha indebolito le relazioni con Iran e Hezbollah. Il segretario generale Hassan Nasrallah continua a illudere il Consiglio per la Cooperazione del Golfo (CCG) domandando di inviare armi a Gaza. Il suo scopo definitivo è di dimostrare la neutralità delle monarchie del Golfo durante il conflitto arabo-israeliano, mettendo in questione le credenziali filo-arabe di Doha e Riyad.
È sfumato il sogno di Hamas di un nuovo equilibrio regionale di potere con i Fratelli Musulmani che potesse garantire un’alleanza tra Egitto, Gaza e la Siria dopo il colpo di Stato in Egitto, che ha eliminato il Governo dei Fratelli Musulmani, riportando il potere militare laico e che ha chiuso i confini tra Gaza e l’Egitto. Nel frattempo il Qatar continua a offrire asilo politico ad Hamas e ha sostenuto alcuni progetti di sviluppo a Gaza, però il piccolo Stato del Golfo si è dimostrato restio a fornire assistenza militare, che prima Hamas riceveva dall’Iran. Di fronte a una proliferazione di forze ostili ad al-Qaeda collegate alla Siria, il restringimento dei possibili alleati nella regione e il realismo potrebbe spingere Hamas a trovare un punto d’accordo tra i dissensi con l’Iran e il Libano.
Andreea Gabriela Iordache
(Mediterranean Affairs – Editorial board)