Manca poco al 21 Luglio, data in cui il bilancio pluriennale della Camera dei Deputati arriverà in aula per il voto. Tagli per il periodo 2014-2016, stimati in circa venti milioni di euro all’anno dalla presidente Laura Boldrini che, in queste ore, sta lavorando su bilanci e revisione dei costi per realizzare la tanto annunciata spending review anche a Montecitorio. Una rivoluzione per le casse della Camera che, per arrivare al voto, dovrà passare indenne le grinfie di 25 sigle sindacali, pronte a dar battaglia fino all’ultimo euro. Infatti, le voci di spesa più onerose non provengono solo dagli stipendi dei deputati in carica, che pure pesano per 130 milioni di euro sul bilancio complessivo. A rendere Montecitorio uno dei luoghi simbolo degli sprechi, calcola stamattina Repubblica, contribuiscono anche i 310 milioni di euro in stipendi dei circa 1500 dipendenti. A cui vanno aggiunti altri 227 milioni di euro per i lavoratori in pensione. Insieme, dipendenti in attività e non, rappresentano il 50,9% delle spese della Camera dei Deputati, che nel complesso costa agli italiani circa 1 miliardo di euro all’anno. Numeri che reggono bene il confronto con quelli prodotti dai 630 deputati eletti che, insieme ai colleghi in pensione, pesano per appena il 25% sul bilancio della Camera. Insieme, dunque, onorevoli e lavoratori costituiscono il 75% delle spese sostenute a Montecitorio.
Stipendi e onorari di onorevoli e lavoratori della Camera non rappresentano le uniche voci di costo di Montecitorio. A far impallidire i revisori dell’ufficio di presidenza della Boldrini, anche i costi degli affitti per uffici e studi di deputati, tecnici e consulenti. Voci di spesa che, se eliminate, permetterebbero di risparmiare circa 40 milioni di euro. Solo pochi giorni fa, con una nota ufficiale, la presidente Boldrini aveva annunciato che la Camera avrebbe rinunciato all’affitto di Palazzo dei Marini, sede degli uffici dei deputati. Un risparmio significativo, stimato in circa 30 milioni di euro all’anno a partire dal 2015. A ciò si aggiunge anche la riduzione del contributo fisso alla ristorazione e altri ipotetici tagli di spesa. Non sarà semplice attuare tali sforbiciate. La “manovra lacrime e sangue” della Camera oltre a passare indenne la selva delle vertenze sindacali e l’ostruzionismo dei parlamentari, dovrà riuscire a superare anche l’ostacolo dell’autodichia, ovvero la giurisdizione riservata, garantita dall’articolo 64 della Costituzione, sullo status giuridico ed economico dei propri dipendenti, che viene stabilito con regolamenti interni non modificabili dalla legge. Un istituto che negli anni ha creato ingenti costi,spesso ingiustificati, ma non più sostenibili soprattutto in tempo di crisi.
Carmela Adinolfi