“Venticinquemila miliardi di lire per uccidere”, scriveva Giorgio La Pira a capodanno 1967, in una delle sue riflessioni più toccanti sulla guerra in Vietnam. E citava mezza Bibbia, dalla Genesi al Vangelo di Matteo, passando per i documenti del Concilio e gli appelli di Paolo VI, per poi concludere che si era aperta “la stagione di Isaia”: la stagione, intendeva, in cui “forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra” (Is 2,4).Mi veniva in mente questa riflessione, e molto altro, quando con Savino Pezzotta abbiamo cominciato a ragionare sull’opportunità di dire una parola chiara sul programma di acquisto degli F35. Una parola da cristiani impegnati in politica, che non staccano i piedi da terra ma che cercano di rivolgere la testa al cielo: era davvero necessario tutto ciò? Era inevitabile, immodificabile, persino indiscutibile come all’epoca (due anni fa) sembrava? No, non lo era. E allora nacque la mozione Colomba, un atto apparentemente innocuo di qualche parlamentare testardo, che ha il merito di aver riaperto il dibattito e di aver portato il governo a una riduzione del programma d’acquisto. Il 30 per cento, per ora. Poi vedremo, perché le profezie – come quella di Isaia, appunto – hanno tempi lunghi e sentieri tortuosi.Intendiamoci: nel campo delle armi e della guerra, per un cristiano il poco è sempre troppo. Diventa troppo anche la legittima difesa, pur giustificata dal Catechismo, se il modello è quel “rimetti la spada nel fodero” detto da Cristo a Pietro nell’orto degli Ulivi. Ma l’impegno in politica rende tutto più complesso, perché una nazione non si governa con la sola coscienza: se dico di no a un intervento armato a protezione dei civili richiesto dall’Onu, ad esempio, si fa molto sottile il confine tra l’obiezione di coscienza e l’omissione di soccorso. Ci sono però delle situazioni, come questa dei cacciabombardieri, in cui la scelta è decisamente più facile: soprattutto se le spese sono folli e i numeri degli armamenti sembrano quelli del Risiko e non quelli di un Paese, come il nostro, che per Costituzione “ripudia la guerra”.Per tanto tempo in Italia si sono date per scontate le spese militari. Si poteva risparmiare su tutto, si potevano tagliare pensioni e sussidi alle persone non autosufficienti, ma guai a mettere in discussione il bilancio della difesa: il solo porre il problema era considerato roba da hippie, non da statisti. Ora che la crisi economica ci obbliga a farlo, si capisce finalmente che i margini sono notevoli: se pensiamo alla facilità con cui il ministro Di Paola ha annunciato il taglio degli F35 da 131 a 90, non possiamo far finta di non capire che, evidentemente, almeno 41 cacciabombardieri non erano poi così indispensabili. Sono quasi 5 miliardi di euro restituiti alle famiglie, alla solidarietà, al terzo settore, alla cultura, alla scuola, al lavoro; alla costruzione di un’Italia migliore, insomma, senza che per questo vengano pregiudicate le nostre capacità militari o il nostro ruolo internazionale. Bisogna avere coraggio, allora, e affrontare seriamente il tema di un nuovo modello di difesa, non lasciando che a dettare l’agenda in materia siano gli interessi industriali, ma rendendo il tema “nazionale” nel vero senso della parola: chiamando in causa, cioè, tutte le componenti del settore, compresa quella difesa popolare nonviolenta alla quale varie sentenze della Corte costituzionale riconoscono dignità pari alla difesa militare. E noi cristiani saremo lì, dalla parte di Isaia.
[wp_connect_like_button href=”” send_button=”disabled” layout=”standard” width=”600″ show_faces=”enabled” verb=”like” colorscheme=”light” font=”arial” ref=”” /]
[wp_connect_comments href=”” width=”600″ num_posts=”6″ colorscheme=”light” /]