Theodor Adorno: da colloquio di Darmastad (1953), Individuo e organizzazione nel mondo amministrato

Pubblicato il 25 Gennaio 2018 alle 17:01 Autore: Rosaria Mautone
Theodor Adorno filosofia individuo e organizzazione

Theodor Adorno: da colloquio di Darmastad (1953), Individuo e organizzazione

Individuo e organizzazione è il titolo dell’intervento introduttivo tenuto da Theodor W. Adorno in occasione del colloquio di Darmastad del 1953.

La questione centrale, a partire dalla quale si invitava ciascuno dei partecipanti a prendere la parola, era appunto quella dell’intreccio individuo-organizzazione. Alla luce del fatto – scontato solo in apparenza – che ogni lucida analisi di un certo fenomeno sociale può svilupparsi unicamente sulla base di una vivida coscienza storica, parlare di “organizzazione” nei primi anni del secondo dopoguerra non poteva non significare, insieme, misurarsi con ciò che Adorno chiama “crisi dell’individuo”.

Theodor Adorno: un’approssimazione concettuale. Individuo e organizzazione

INDIVIDUO

 La “crisi dell’individuo” nel “mondo amministrato”: ecco, in breve, di cosa si tratta nel contributo del filosofo della Scuola di Francoforte. Ad essere messa a tema è in primo luogo la crisi della declinazione moderna del concetto – che abbiamo ancora caro – di individuo (un concetto che, d’altra parte, nasce propriamente con “la modernità”).  Se tale nozione agli occhi di Adorno è in crisi, se non ha più presa sui singoli uomini – se un’indagine sociale non può servirsene senza perdere in anticipo le proprie possibilità di comprensione – è perche la crisi tocca anzitutto quei singoli uomini. Una crisi oppure una modificazione – o ancora, in termini più incisivi, un trauma.

Dall’analisi risulta che il soggetto politico moderno va perdendo quelle caratteristiche precipue che facevano di lui un individuo: la capacità di agire (cioè di “muoversi” spontaneamente), le motivazioni individuali, “lo spirito di iniziativa”. Il singolo non regge più l’opposizione individuo-società, ragion per cui diventa anacronistico rappresentarselo come un ostacolo, almeno potenziale, per la conservazione dello stato esistente – ancora una volta, cioè, come “individuo”.

ORGANIZZAZIONE

Tutto ciò accadeva nel contesto di una espansione senza precedenti della forma moderna dell’organizzazione, tale che quest’ultima pareva inglobare quanto più poteva della vita del singolo in privato e in società.

“Un complesso di scopi coscientemente istituito e diretto”: con queste parole Adorno dà una prima approssimativa definizione al concetto di organizzazione. Ogni organizzazione istituita può essere intesa, allora, come il risultato di una pianificazione dei rapporti umani in relazione ad uno scopo determinato (all’”utilità finale del tutto”): ciascun membro si compone con gli altri in una rete di rapporti mediati da un unico scopo, ciascuna parte vale come strumento per quello scopo. Nel medesimo tempo, d’altra parte, è la stessa organizzazione a proporsi come strumento per il singolo, ed è in ciò che essa si mostra creata dai soggetti per i soggetti.

Adorno: dalla società organizzata al mondo amministrato

Questo aspetto dell’organizzazione – la sua utilità –  viene evidentemente meno se lo scopo si rivela contrario agli interessi di coloro che ne fanno parte.  Si fa chiaro, allora, il senso di quanto Adorno affermava nel ‘53:  a rendere “distruttiva” l’organizzazione “non è un eccesso ma un difetto di organizzazione”. In breve: il danno è generato dalla caduta del razionale nell’irrazionale, e precisamente dal fatto che tanto l’organizzazione quanto la sua capacità di catturare interamente la vita dell’individuo sono strutturalmente subordinate ad interessi particolari – cosicché solo in apparenza l’estensione dell’amministrazione può dirsi “un processo oggettivo”.

Se è vero che “società organizzata” suona come una tautologia – se è vero, dunque, che nessuna società si tiene in vita senza la costante razionalizzazione dei rapporti tra le sue componenti – , “mondo amministrato” dice qualcosa in più di ciò che accadeva al Novecento.

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Adorno: come l’organizzazione trasforma il soggetto

Come mero “ingranaggio del meccanismo”, scrive Adorno, l’uomo ha solo la parvenza di un soggetto dell’organizzazione: l’amministrazione lo riduce a suo oggetto. Quello che resta di lui è la sua funzione sostituibile al servizio dell’apparato. Il soggettivo, l’individuo, perde dunque le sue qualità di individuo nella misura in cui ciò che resta di lui è determinato (“prodotto”) dal falso oggettivo.

Tenuto fermo, in accordo con Adorno, che il soggetto è al tempo stesso soggetto dell’amministrazione e all’amministrazione, tenuto fermo anche che pare ingiustificato parlare dell’“uomo” al modo di un essere non intaccabile, possiamo concludere che “se si può parlare di minaccia dell’uomo, lo si può fare soltanto nel senso che l’assetto del mondo nasconde già il fatto che si in esso si sviluppano coloro che sarebbero capaci di smascherarlo e di ricavare così la prassi giusta”.

Rosaria Mautone

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