Libri consigliati: Lessico Famigliare di Natalia Ginzburg. Una storia di volti e ricordi

Pubblicato il 29 Gennaio 2018 alle 15:36 Autore: Salvatore Mirasole
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Libri consigliati: Lessico Famigliare di Natalia Ginzburg. Le parole sono importanti. Una storia di volti e ricordi, incentrata sulla famiglia Levi.

In un crocevia di volti, i volti della Storia e i volti dei conoscenti più oscuri (suggerisce Calvino), immagini, ricordi e ricordanze e, soprattutto, parole e detti. Natalia Ginzburg ci presenta la storia e le piccole storie della sua famiglia: i Levi nella Torino tra gli anni Trenta e Cinquanta del secolo scorso. Con lo stesso spirito l’autrice descrive la sua opera;

<<Lessico Famigliare è un libro di memorie. Tuttavia io stessa vi sono poco presente: è piuttosto la storia della mia famiglia: fin dall’infanzia, pensavo a ritrarre in un libro tutte le persone che vivevano, allora, intorno a me>>.
(N. Ginzburg, Raccontare il vero in <<Successo>>, 1963)

Progetto dunque nato durante l’adolescenza, come desiderio di scrivere un libro dove ci fossero tutti questi qui, con le cose che dicono, coltivato per tutti gli anni successivi e realizzato alla fine del ’62 (precisamente tra 16 Ottobre e Natale, a detta della stessa autrice).

Ma chi sono tutti questi qui? E cosa sono le cose che dicono? E’ proprio dietro questi due interrogativi, strettamente correlati, che si cela tutta l’anima del libro.

Libri consigliati, “Lessico Famgiliare”. Per un tentativo di trama

Tra miriadi di volti appena accennati, comparse silenti di poche pagine, fantasmi a volte, due figure emergono con inesauribile forza vitale: il Signore e la Signora Levi. Il primo, infaticabile burbero, è un autentico vulcano al quale non va bene nulla: archetipo del genitore impossibile ed arcigno. Difficile sostenere il contrario! È lui la prima fonte di ispirazione e primo motore del libro. Nel suo segno si apre Lessico Famigliare, nel suo segno si chiude: sue sono le prime e le ultime parole: non fate malagrazie! si legge in prima pagina mentre un conclusivo lamento chiude il libro, in una perfetta ringkomposition per bocca della stessa voce: quante volte l’ho sentita contare questa storia!

Egli è in netta antitesi con la sua consorte, perennemente gioiosa e gaiamente vitale, un autentico linimento per la furente tempra del marito. Anch’essa, in misura tuttavia minore, volto protagonista del libro con i suoi disturbi e incoerenti insofferenze (<<Che freddo che fa! Io non posso soffrire il freddo! […] Che caldo che fa! Io non posso soffrire il caldo!>>).

Seguono i fratelli e la sorella (Alberto, Mario, Gino, Paola) figure assai presenti nel romanzo e grazie alle quale si comprende bene il valore dei vari sbrodeghezzi e sempi, ovvero dei molteplici rimbrotti di cui il Sig. Levi è sempre generosa fonte.

Lessico Famigliare è un’autobiografia linguistica

<<Ci basta dire ”Non siamo venuti a Bergamo per fare campagna” o ”De cosa spussa l’acido solfidrico”, per ritrovare ad un tratto i nostri antichi rapporti, e la nostra infanzia e giovinezza, legata indissolubilmente a quelle frasi, a quelle parole [..] Una di quelle frasi o parole, ci farebbe riconoscere l’uno con l’altro, noi fratelli, nel buio di una grotta, tra milioni di persone>>.  Natalia Ginzburg, in merito al suo Lessico Famigliare.

Il lessico non è altro che un antico canto che risveglia negli adulti Levi la loro memoria identitaria, quell’universo di opache stelle, nuovi e vecchi astri che un tempo popolarono la loro infanzia, i loro legami sommersi con le cose e con le persone. Ricordo chiama ricordo in una catena ipoteticamente infinita: si parte dalle Margherite e dalle Regine (cugine e zie del buon Sig. Levi, vero erede di quel dyscolos menadreo) per passare, nello stesso episodio narrativo, alla storia della nonna Dolcetta e del suo uovo e alla figlia Rosina, giovane vedova, per finire con la storia di come veniva narrata la storia dell’uovo e della nonna. Un dedalo di memorie perdute, e recuperate con paroline magiche, filtrato dalle irresistibili sfuriate del padre e dall’inesauribile allegria della madre.

Infine gli altri, volti noti della Storia e della vita intellettuale d’Italia (e.g. Turati e Pavese) trattati alla stregua di un Silvio, di quel sempio del Terni, di un Signor Olivetti e della Francese, i volti di ogni giorno, le figure anonime e non, le quali ognuno di noi quotidianamente incrocia. Non è mai superficiale lo sguardo rivolto a queste decine di volti, sebbene sia loro concesso il breve spazio di una pagina o di una sola riga talvolta. Franco, quello dei libri, torva figura in maglione e berretto a visiera. Si crea dunque calata nel suo contesto (gli amici di Alberto che mangiano ciliegie), l’immagine vivida di un Frinco che non incontreremo mai più in tutto il libro. Piccoli epigrammi in prosa.

Libri consigliati, “Lessico famigliare”: un testo di ardua categorizzazione

Lessico famigliare è un libro semplice, lo stile è disadorno ma non manca di lirismo, anzi ne è stracolmo. Di difficile definizione, dal “carattere insolito” come parte della critica lo ha definito, quasi sfuggente: romanzo? Autobiografia? Cronistoria? Diario di memorie? Eppure non fa fatica a comunicare con il lettore, tutt’altro: la difficoltà è tutta dell’ermeneuta di turno e della sua bramosia di sintetizzare lo scibile con qualche etichetta qui e là.

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La gente muore ma non si sfocia nell’eulogia: al lutto e alla tristezza sono riservati lo spazio del silenzio tra poche e scarne parole. Non sono presenti tragedie, o meglio, gli eventi pur tragici non vengono annacquati da un facile patetismo: dalla morte di Leone Ginzburg, pestato a morte dai tedeschi, al suicidio di Pavese. Tuttavia, la narrazione di quest’ultimo occupa uno spazio più ampio e non deve sorprenderci, tale scelta narrativa rientra in una delle tante finalità del libro, forse la più importante: l’esaltazione della memoria.

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Il ricordo di questa morte ha un preciso e duplice scopo, soggettivo ed oggettivo: esprimere il lutto per qualcosa che non si trova più nelle opere del poeta: il suo sorriso maligno, l’ironia con cui metteva a fuoco le sue amicizie. Soggettivo in quanto l’autrice dà evidente corpo al proprio male di vivere, caso forse unico nel libro, o quantomeno è quello che emerge con maggiore evidenza.

Oggettivo perché ha un oggetto ben definito che si vuole fare rivivere attraverso il suo ricordo, dunque tramandarlo, laddove esso, non sopravvive in nessun altro luogo, intendiamo il sorriso maligno del poeta e ciò di cui si fa portavoce: difficilmente scorgiamo ironia o vediamo sorrisi nei versi di Pavese. Episodio in apparente dissonanza con il resto del libro ma che, invece, ne arricchisce quella grammatica polifonica che scorre lungo tutto il testo, dal primo all’ultimo rimprovero che il Sig. Levi filantropicamente elargisce.

Salvatore Mirasole

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