Palermo: due lati nascosti della città arabo-normanna
Palermo, cosa vedere: due lati nascosti della città arabo-normanna
Sulla città, la città intesa come luogo metafisico d’arte e poesia, Walter Benjamin, lo studioso ebreo e critico letterario che, braccato dalla Gestapo, si uccise a Port Bou, ha scritto poche ma illuminanti parole:
Non sapersi orientare in una città non significa molto. Ci vuole invece una certa pratica per smarrirsi in essa come ci si smarrisce in una foresta. – Walter Benjamin, Infanzia Berlinese
Tentiamo spesso di smarrirci in città alla ricerca di liane, arbusti e macachi dalle natiche ben esposte. Qualche volta ci si riesce, qualche volta no. Quando ci si perde, è sempre un’esperienza mistica che sfocia in un simbolismo malinconico e/o trasognante, soprattutto in qualsiasi centro di un’Italia così ricca di storia. Botteghe d’anticaglie mai vedute, statue e ruderi d’altre ere, viottoli stretti e angusti prima ignoti: la lista potrebbe retoricamente non avere mai fine, ma vi si porrà qui e ora, per benevolenza verso il lettore, un bel punto. Questo, dopotutto, è un semplice articolo che vuole ricordare due di questi luoghi, di questi volti celati, un tempo ignoti allo scrivente e intorno ai quali a costui è capitato di perdersi.
Palermo, cosa vedere: il “casteddu” di Maredolce
Nel cuore di Brancaccio, il quartiere dove è stato ucciso Don Pino Puglisi per intenderci, sorge il cosiddetto casteddu, meno noto come Castello di Maredolce o parco della Fawwarrah, ovvero fonte che ribolle, con riferimento alla sorgente che ha origine presso le falde del Monte Grifone. Il complesso di Maredolce doveva sorgere probabilmente a circa cinque miglia dall’antico centro della città, in un vero e proprio locus amoenus fatto di rivoli d’acqua, palme, arance: sintesi naturale, ed insieme, architettonica di un’oasi islamica. Jardin delectoz, pleins de frutt et de eau, esclama il granconte Ruggero, il futuro Ruggero II, quando nel 1071 i normanni prendono la città. Dunque Ruggero ha davanti a se un edificio già esistente: sorto, con tutta probabilità, in epoca kalbita, faceva parte del cittadella fortificata, o qasr in lingua araba, dell’emiro Gia’ far che regnò dal 998 al 1019.
Palermo: dove nasce il nome di Maredolce
Del granconte è l’idea di aggiungere intorno al complesso già fatto e finito la cosiddetta Pescheria: una grande diga riempita dell’acqua che abbondante scaturiva dalla sorgente Fawwarrah, un lago artificiale in sostanza che per la sua vastità venne chiamato Maredolce e, per metonimia, tutto il parco venne ad identificarsi con tale appellativo. Un grande acquario nel quale erano state immesse molte ed esotiche stirpi ittiche, ma non solo: narrano le malelingue che il granconte portasse, sulle sue lussuose imbarcazioni ornate d’oro e d’argento, avvenenti signorine per i suoi nobilissimi sollazzi. Ma, parafrasando e semicitando Erodoto: non so dove sta la verità, mi limito a menzionare fatti degni di nota.
Palermo: un parco tristemente trascurato
Tuttavia, la storia contemporanea del Parco della Fawwarrah ci fa sorridere molto di meno, o per nulla affatto: lo stato dei restauri oscilla tra la pigrizia e la trascuratezza. Dell’antico splendore ben poco è rimasto, di ciò che nel primordiale progetto dell’emiro doveva raffigurare il paradico coranico: il lago è scomparso; la sala termale, o hammam, per nulla identificabile ma pare fosse ben visibile fino al XIX secolo; il resto degli interni abbandonati.
Unica nota positiva è il costante impegno che i membri dell’Associazione Culturale Castello di Maredolce profondono con inesauribile costanza e che, alla prova dei fatti, ha un unico scopo: far rivivere quella bellezza che colpì granconti e poeti.
Oh quanto è bello il lago delle due palme e l’ isola nella quale s’estolle il gran palagio! L’acqua limpidissima delle due polle somiglia a liquide perle e il bacino a un pelago.
Abd ar-Ramah, XI secolo circa.
Palermo, cosa vedere: La Biblioteca Privata Itinerante “Pietro Tramonte”
C’è una zona della città che tutti i palermitani conoscono bene, quella dove sorge l’imponente, quanto grigio, complesso delle Poste Centrali. Tipica architettura fascista spoglia e scabra che ottenebra tutto ciò che vi sosta intorno. Dinanzi, una traversina minuscola attraverso la quale vi passa a stento una macchina e, sui muri di questa stradina, diverse frecce accompagnate da due scritte: libri vecchi e, per gli amici internazionali, old books, rigorosamente tracciate a mano. A dire il vero, superati un paio di cunicoli serpeggianti a cielo aperto, ci si ritrova in un vicoletto costituito da scaffalature varie e librerie homemade stracolme di libri vecchi e nuovi. Da spiegazzati numeri di Topolino a “La mirabolante avventura di John Lempriere, erudito nel secolo dei lumi” di Lawrence Norfolk. Ma procediamo per gradi.
Qualche anno fa, giunto alla soglia della pensione, il signor Pietro Tramonte decide di creare fuori dal (quasi) nulla, da un angolino oscuro accecato dalla luce del Centro Storico, una vera e propria biblioteca libera che definire privata è una palese forzatura: chiunque può metterci mano, letteralmente. Percorso iniziato con pochi libri, cavati fuori dalle mura domestiche, oggi la Biblioteca Itinerante conta oltre 70mila libri, a detta di Tramonte. E non si fa fatica a crederlo, una volta lì. Un posto fatto di libri per chi li ama, scevro dalle solite regole. Tutti i libri esposti sono in vendita, ma anche in tale contesto la Biblioteca Itinerante ha pochi eguali: si può direttamente barattare il volume ambito, si può offrire la propria manovalanza per qualche ora, nel tentativo di portare ordine all’interno di un meraviglioso caos culturale. Ogni tanto si accettano pure soldi, ma solo per portare avanti la baracca, come direbbe il signor Pietro. E l’offerta è libera. Si respira l’idea che i soldi siano l’ultimo dei pensieri, entrando in questo crocevia di pagine bianche e gialle, vecchie e nuove.
Altra tappa fondamentale di una città che rivela sorprese anche a chi la conosce bene.
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