Chi è Jean-Claude Juncker? “Juncker è uno dei leader più esperti in Europa”, si legge sul suo sito internet. Classe 1954, figlio di un metalmeccanico, una laurea in legge all’Università di Strasburgo, veterano della politica europea Juncker lo è davvero. C’era quando la Germania era guidata da Helmut Kohl e c’è ancora adesso che a Berlino siede Angela Merkel. Grazie alla fiducia dell’europarlamento Juncker è ufficialmente il nuovo presidente della Commissione europea. L’Ue che immagina passa per il lavoro, l’energia, la competitività.
Juncker comincia a far politica presto entrando nel Partito Popolare Cristiano Sociale (CSV), il principale partito di centrodestra del Lussemburgo. Altrettanto presto ottiene incarichi di rilievo: nel 1982 diventa vice ministro del Lavoro. Ha 28 anni. Dal 1995 al 2013 è stato premier del Lussemburgo, cosa che lo rende uno dei leader democraticamente eletti più longevo al mondo. Ha guidato l’Eurogruppo e il Consiglio europeo.
Juncker conosce a perfezione gli ingranaggi della macchina comunitaria. Del resto l’ha vista nascere. “Nel 1992 ha giocato un ruolo chiave nella firma del Trattato di Maastricht” racconta il suo sito.
È descritto come un abile negoziatore, un uomo che ha assorbito la tradizione diplomatica del Lussemburgo, che da piccolo paese qual è ha sempre dovuto lavorare per tenere buoni rapporti con i grandi vicini francesi e tedeschi. Maneggiare l’arte del compromesso gli tornerà utile quando si tratterà di sedersi al tavolo con David Cameron per ricucire lo strappo tra Londra e Bruxelles.
Il Guardian lo ha definito “drogato di politica”. Ma in Gran Bretagna hanno scritto anche di altri interessi come quello per l’alcol: secondo i media inglesi sarebbe il segreto di pulcinella che circola nei corridoi di Bruxelles.
Juncker è diventato presidente della Commissione europea nonostante la ferma opposizione di David Cameron e la perplessità di alcuni membri del Partito Popolare Europeo. La sua nomina è stata il risultato di un accordo tra popolari e socialisti ma anche della fermezza con cui il Parlamento europeo ha difeso la linea dell’elezione diretta del presidente della Commissione nonostante ciò non sia contemplato nei trattati. Angela Merkel lo ha sostenuto sin dall’inizio. Francia e Italia si sono accodate chiedendo in cambio più flessibilità nell’interpretazione delle regole di bilancio.
Juncker ha ripetuto spesso i suoi obiettivi, a partire dal condurre l’Europa fuori dalla stagnazione. E poi lotta alla disoccupazione. Vuole un’Europa ‘sociale’ dove i settori più poveri della società possano avvicinarsi a standard di vita più decorosi. È considerato un federalista ma la BBC ha scritto che sarebbe più corretto definirlo un uomo che vuole una maggiore integrazione europea senza che l’Ue diventi un superstato.
Juncker ha annunciato che nei primi tre mesi presenterà un pacchetto per il lavoro e la crescita che muoverà 300 miliardi in tre anni. I confini dell’Unione europea rimarranno questi per i prossimi cinque anni, anche se proseguiranno i colloqui per l’allargamento ai paesi dell’area balcanica occidentale.
Per Juncker serve un coraggioso piano di riforme e bisogna tenere i piedi per terra: “La crisi non è finita. Ci sono milioni di disoccupati”. E sull’immigrazione ha dichiarato che il problema non è “dell’Italia o Malta, ma dell’Europa tutta”.
“I bilanci nazionali per la crescita e gli investimenti devono rispettare il Patto di Stabilità e Crescita, facendo il miglior uso della flessibilità già presenti nelle sue regole” ha illustrato nel programma presentato agli eurodeputati: il Patto di stabilità non sarà modificato perché “la stabilità è stata promessa con l’introduzione della moneta unica”, fermo restando che “ci sono margini di flessibilità che devono essere utilizzati”.
“Serve la crescita, non finanziata da debiti che sono solo un fuoco di paglia. Abbiamo bisogno di investimenti” ha detto. La burocrazia va snellita, l’Europa deve procedere verso il mercato digitale unico e occorre una politica energetica solida. Juncker ha detto che difenderà la libera circolazione dei lavoratori e ha invitato l’Europa a rinunciare ai nazionalismi perché “si vince e si perde tutti insieme”.