Conto energia, ecco la posta in palio
Gli ultimi giorni di marzo 2012 sono probabilmente un periodo cruciale per il futuro assetto energetico del Paese, che dopo aver escluso con il referendum 2011 l’utilizzo del nucleare ora deve affrontare a viso aperto la scelta tra un affondo deciso verso le fonti rinnovabili oppure una posizione di ripiego che lasci inalterato l’attuale predominio delle cosiddette fonti tradizionali.
[ad]Una premessa, non operativa ma altamente simbolica, di questi giorni intensi si è avuta il 28 marzo, con la presentazione da parte di Legambiente del rapporto Comuni Rinnovabili 2012, un vero e proprio atlante dei Comuni italiani più virtuosi in termini di approvigionamento energetico attraverso l’uso dele fonti rinnovabili: solare termico e fotovoltaico, eolico, idroelettrico, geotermico e biomassa. I risultati del rapporto sono in qualche modo stupefacenti, ed evidenziano come la quasi totalità dei Comuni (7.896 su 8.092) abbia intrapreso la strada delle energie alternative mentre in 23 realtà concentrate prevalentemente tra Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta ormai la totalità dell’energia elettrica consumata è prodotta da fonti rinnovabili.
Appena il giorno dopo, 29 marzo, il sito www.qualenergia.it intervistava Giovanni Battista Zorzoli, ex consigliere di amministrazione dell’ENEL tra il 1987 ed il 1993 in quota PCI e attuale presidente della sezione italiana dell’ISES. Zorzoli affronta in pieno i temi legati alla crescita delle rinnovabili e agli impatti che questo fenomeno ha sul mondo energetico del Paese, e non usa mezze misure:
Limitandoci all’aspetto economico, in Italia si è investito troppo in impianti a cicli combinati: investimenti per circa 25 miliardi di euro. Si è così arrivati a una sovracapacità produttiva che rimarrebbe, seppur in misura minore, anche se non ci fossero le rinnovabili. D’altra parte, che le rinnovabili ci sarebbero state si sapeva: c’era stato prima il protocollo di Kyoto e poi il pacchetto europeo clima-energia. Di fatto già l’anno scorso alle rinnovabili cosiddette tradizionali, ossia idroelettrico e geotermia, si sono aggiunti circa 30 TWh di produzione dalle nuove rinnovabili, soprattutto eolico, biomasse e fotovoltaico: una cifra decisamente rilevante, circa il 10% del consumo lordo totale. Questo, oltre tutto in un periodo di domanda contenuta, è andato a incidere sul funzionamento dei cicli combinati, non tanto degli impianti più vecchi – che sono ancora incentivati con il Cip6 e come le rinnovabili hanno priorità di accesso alla rete – quanto su quella fetta dei più nuovi in cui si è investito di recente. Questi per ripagarsi dovrebbero funzionare circa 4-5mila ore l’anno, invece ne stanno funzionando, quando va bene, 3mila. Il ridotto uso dei cicli combinati si traduce anche in miliardi di metri cubi di gas in meno, con un innegabile vantaggio in termini ambientali e di bilancia dei pagamenti, ma con un danno economico per chi vende gas.
Se si vuole tagliare sulle rinnovabili elettriche è perché l’assetto elettrico immaginato in assenza delle rinnovabili sta avendo dei problemi: non solo per la questione dei cicli combinati che funzionano a scartamento ridotto, ma anche per altre ragioni, come la necessità di adeguare la rete elettrica. Si sta imponendo un cambiamento di paradigma che sposta interessi e investimenti da un settore all’altro, come in ogni cambiamento di questa portata, poco o tanto, qualcuno vince e qualcuno perde. C’è evidentemente una grossa pressione per contenere questo rischio da parte di quelli che ne sarebbero penalizzati. Anche le rinnovabili termiche danno fastidio: non intervengono sulla rete elettrica, però anche loro fanno risparmiare gas.
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