Quando i media sottolineano le emergenze in cui l’Italia si trova e che causano la crisi della propria economia, troppo spesso viene trascurato un intero campo, o viene trattato superificialmente, quello dell’occupazione, che v al di là del mero dato della disoccupazione, giovanile o adulta che sia, ma che concerne il tipo di occupazione e il tasso di attività presente nel nostro Paese.
Vista per intero, a situazione appare ancora più drammatica, e assume carattere strutturale, in quanto da sempre presente,a nche prima della crisi.
Innanzitutto il tasso di occupazione ci dice quanti cittadini in un certo range di età lavorano, e qui L’OCSE ci dice quanto il nostro Paese sia indietro, soprattutto in due segmenti di età basilari, per motivi molto diversi, tra i 15 e i 24 anni:
e tra i 55 e i 64 anni:
Nel primo caso il gap è enorme, di 25 punti rispetto alla media, e di 30 rispetto a Paesi come USA, UK e Germania. Non si può neanche giustificare i dati con lo studio, in quanto anzi in questi ultimi Paesi gli universitari sono molti di più.
Il gap nel segmento 55-64 anni è di 12 punti rispetto alla media OCSe e di 20 punti rispetto alla Germania.
Come si vede non si tratta di quel 4-5% di disoccupazione in più. ma di decine e decine di punti percentuali, sono gap spiegabili con vizi strutturali dell’economia e soprattutto della legislazione del lavoro da una parte e del sistema pensionistico dall’altra.
Un’altra distorsione di cui non si parla è la tipologia di occupazione, abbiamo un 25% di lavoratori autonomi, una situazione che ci avvicina di più ai Paesi in via disviluppo, quando in USA sono poco più del 6%, a dispetto del mito del “self made man” nato oltreoceano, e del 11,6% della Germania.
Evidentemente si tratta in buona parte di piccolissime attività volte alla sussistenza, e dall’efficienza molto dubbia, oltre che finte partite IVA. Ormai vari studi sottolineano la debolezza di una struttura economica basata su micro-imprese spesso familiari. Non a caso ci superano in questa classifica solo Grecia per l’Europa, e poi Messico, Brasile, Colombia, Turchia.
Le differenze con la Germania e la sua strategia si vedono chiaramente in un’altra statistica, le ore lavorate:
In Italia si lavora più a lungo della media europea, anche se siamo nella media OCSE a causa di USA e altri Paesi asiaticied americani, ma comunque si tratta di circa 350 ore in più all’anno rispetto alla Germania.
E’ chiara la strategia tedesca di spalmare il lavoro aumentando gli occupati, non facendo salire le ore lavorate, naturalmente agendo sui salari, che non sono cresciuti o l’hanno fatto seguendo la produttività, al contrario dell’Italia, in cui si è perseguita la volontà di curare la situazione lavorativa dei già occupati, dei fortunati in realtà con il contratto a tempo indeterminato, a dispetto principalmente dell’occupazione.
Vie è un problema di competenza e volontà dei media, strettamente collegata con quella politica, di vedere e affrontare certi problemi, di non perpetuare falsi miti, come quello della piccola impresa, oppure di guardare al solo dato della disoccupazione tra gli attivi, o ancora di fare attenzione al livello dei salari dei già occupati in periodi di recessione di alta disoccupazione, in cui invariabilment ogni volontà di mantenre lo status quo se non di pretendere aumenti non può che andare a detrimento dell’occupazione, oltre che della logica razionale.