La crisi economica, nata negli Stati Uniti dall’affaire sub prime ed esportata in tutto il mondo attraverso la cartolarizzazione dei ‘titoli tossici’, non sarà dimenticata facilmente. Anche nella lontana ed antica (sotto l’aspetto di innovazione bancaria) Italia la crisi ha prodotto momenti frustranti. Oggi, un rapporto della Uil, intitolato “No Pil? No job”, mostra il dramma attraverso numeri. Tragici, durissimi numeri.
Dal 2008, anno in cui la crisi finanziaria si è tramutata in crisi dell’economia reale e, come un vero e proprio virus, si è espansa in tutto il mondo (da Hong Kong a Londra, da Rio de Janeiro a Città del Capo), in Italia si sono persi un milione di posti di lavoro. Cifra tonda in appena 6 anni. 567.000 dei neo disoccupati erano lavoratori della Pubblica Amministrazione. Ma il dato, forse, più drammatico è quello riguardante la crescita della disoccupazione. Quando Romano Prodi lasciò Palazzo Chigi, infatti, l’assenza di lavoro era pari al 6,7%. Oggi, invece, la cifra è quasi raddoppiata, raggiungendo quota 12,2%. Per quel che riguarda la disoccupazione giovanile (ovvero quella che interessa le fasce di età 15-24 anni), si è passati dal 21,3% al 40%. E nel sud Italia la soglia 50% è stata largamente superata.
Nel rapporto del sindacato fondato nel 1950 sulla crisi economica, si parla anche di povertà ed insicurezza sociale: oltre il 30% delle persone in età lavorativa (13 milioni di persone, in aumento del 42,6% dal 2008) ha vissuto, durante l’anno 2013, forme di paura ed incertezza lavorativa. Le ragioni dell’incremento dell’insicurezza deriva dalla situazione lavorativa: sono precari, hanno perso il lavoro ovvero hanno subito una decurtazione dell’orario di lavoro e, conseguentemente, una riduzione del livello del reddito.
Daniele Errera