Se non fosse per quella sottile membrana chiamata Unione Europea che tiene insieme tutto, il vecchio continente sembrerebbe sempre di più un puzzle in pezzi. Secessioni, indipendenze volute o forzate, guerre, irredentismi. E un’unica bandiera, quella del nazionalismo. Ma spesso, più del sentimento nazionale, il vero motivo è il portafoglio. E’ quanto sta accadendo a un’altra unione, quella del regno britannico, dove la Scozia procede a grandi passi verso un referendum storico il cui quesito reciterà più o meno così: “Do you agree that Scotland should be an independent country?” (“Siete d’accordo che la Scozia diventi una nazione indipendente?”). La questione però è più complessa.
Dalla devolution all’indipendenza?
[ad]Nel 1997 si tenne già un referendum dalle parti di Edimburgo, quello sulla cosiddetta devolution, che permise la ricostituzione di un Parlamento scozzese (fuso con quello inglese nel 1707) dalle limitate competenze legislative. La Scozia è sempre stata un bacino di voti per i laburisti ed è infatti con il governo di Tony Blair che si arriva alla devolution votata dal 74% degli aventi diritto. Nel 1999 si tengono le prime elezioni scozzesi. A vincerle è sempre il partito sostenuto dai laburisti. Nel 2007 invece sorpresona: si afferma lo Scottish National Party guidato da Alex Salmond (economista che ha lavorato nel settore energetico) che diventa così primo ministro. Nel 2011 fa il bis e i tempi sembrano maturi per proporre il referendum finale: quello sull’indipendenza.
Cameron punta sui tempi stretti
Il primo ministro britannico David Cameron punta sui tempi stretti per evitare la secessione e ha spinto affinché il referendum si tenesse già nel 2013 affermando che il clima di incertezza allontana gli investimenti stranieri sull’isola. Al momento i sondaggi sono sfavorevoli alla causa indipendentista. Non a caso Salmond cerca di guadagnare tempo per accrescere i consensi. Il 25 gennaio scorso ha presentato al Parlamento scozzese un documento con le linee guida del governo: si voterà nell’autunno 2014, potranno votare i maggiori di 16 anni, e i quesisti saranno due. Tutte cose che a Londra non piacciono.
I quesiti referendari
Oltre al quesito “duro e puro” (siete d’accordo che la Scozia diventi una nazione indipendente?) se ne prospetta un secondo, il devo max, che estenderebbe l’attuale autonomia scozzese senza arrivare fino all’indipendenza piena. Questo, secondo i sondaggi, è quello che davvero vogliono gli scozzesi. Il concetto è semplice: gli scozzesi potrebbero spendere come credono le loro tasse ponendo fine alla loro dipendenza fiscale da Londra. Su questa proposta Cameron tentenna. Da un lato eroderebbe consensi alla causa indipendentista, intercettando i voti dei moderati, dall’altra rischia di causare un effetto domino. A Cardiff, in Galles, dove è in vigore una devolution più limitata rispetto a quella scozzese, pare che guardino con interesse al referendum di Edimburgo.
Petrolio e gas nel mare del Nord
L’economia scozzese però è tutt’altro che solida e trangugia le sterline del governo centrale. Come potrebbe reggere da sola? Salmond e i suoi si sono già recati in visita in Norvegia per sondare il terreno. Il loro obiettivo è mantenere il controllo sugli idrocarburi (gas e petrolio) estratti al largo delle Highlands dandoli in concessione a nuovi “alleati” scandinavi. Questo preoccupa Londra. Entro il 2020 la metà del fabbisogno britannico potrebbe essere soddisfatta dalla produzione di gas e petrolio al largo del mare della Scozia da cui l’anno scorso furono estratte 65 milioni di tonnellate di greggio. Alcuni importanti istituti di ricerca come Wood Mackenzie rilanciano il futuro delle risorse del regno. “Nel 2011 sono state concesse 46 nuove licenze esplorative – si legge nello studio – e gli investimenti cresceranno almeno fino al 2014. L’anno scorso, negli impianti del Mare del Nord sono stati investiti 7,5 miliardi di sterline“.
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[ad]Il nodo della questione è che metà delle riserve di gas e petrolio devono ancora essere estratte. E bisogna anche considerare che il settore dà lavoro a 196mila scozzesi. In tutto il Regno Unito gli occupati che lavorano grazie a questa industria sono 440mila: posti di lavoro per gli scozzesi? Così afferma Salmond. Ma la disoccupazione in Scozia è piuttosto bassa, ferma al 4% circa.
Lo spauracchio dell’euro
Il ministro dell’Economia britannico, George Osborne, ha già avvertito Edimburgo: “In caso di indipendenza, sarete obbligati ad adottare l’euro”. La moneta unica europea, quindi, come uno spauracchio, in un momento di grande crisi per la valuta e di forti tensioni finanziarie. Salmond ribatte che a decidere saranno gli scozzesi, ma che lui sarebbe più propenso a tenere la sterlina. La questione sarà dunque l’eventuale adesione della Scozia all’Unione o la permanenza nel Commonwealth. Le linee guida proposte da Salmon parlano chiaro: capo dello Stato resterà la regina. Come in Australia e Canada, membri del Commonwealth britannico.
Solo un po’ di indipendenza
Tutte questioni che, pur gravi, paiono di secondaria importanza poiché quello che vogliono ad oggi gli scozzesi, e sembrano volerlo davvero, è un po’ di indipendenza. Non tutta. Ma Cameron gioca la partita fino in fondo e incalza: il primo ministro britannico, al recente congresso di Manchester dei conservatori, ha detto chiaramente che Salmond non deve essere «codardo» e deve avere il coraggio di porre un quesito secco e chiaro agli scozzesi. Vogliono o no l’indipendenza dal Regno Unito?
di Matteo Zola