Sono gravi, inaccettabili e, soprattutto, infantili e grottesche le balle istituzionali che Dario Franceschini, Ministro dei beni e delle attività culturali, continua a ripetere da settimane, nell’ormai disperato tentativo di giustificare la scelta di aumentare – fino a portarle a cifre astronomiche – le tariffe per il c.d. equo compenso per copia privata.
Ci sono alcune immagini “plastiche”, indelebili nella memoria della Rete che, se sfogliate, raccontano meglio di un fiume di parole quanto sia pacchiano, approssimativo e, soprattutto, inutile lo sforzo che qualcuno sta suggerendo al Ministro di compiere, mentendo a cittadini e istituzioni.
Val la pena metterle in fila a beneficio dello stesso Ministro, nella speranza che scorrendole si renda conto di come, in questa vicenda, stia davvero immolando – su un altare non suo – la sua reputazione di uomo politico al quale un cittadino può, forse, perdonare un errore ma, mai, di aver provato a prenderlo in giro.
Eccole.
Nelle scorse settimane, il Ministro Franceschini, si è presentato prima davanti alla Commissione Cultura della Camera dei Deputati e poi, addirittura, in aula a Montecitorio, ripetendo – con la maestria di un navigato attore hollywoodiano – una scena che, riguardata alla moviola, lo ritrae come il goffo albatros di Baudelaire.
Brandendo in mano il suo Iphone 5, infatti, in entrambe le occasioni il Ministro ha detto che su dispositivi come il suo il prezzo di vendita al pubblico è fisso con l’ovvia – almeno a suo dire – conseguenza che risulterebbe evidente come l’introduzione delle nuove tariffe dell’equo compenso non incideranno sui prezzi e, dunque, non ricadranno sui consumatori.
Uno studente di economia del primo anno – ma forse anche chiunque faccia la spesa di tanto in tanto – potrebbe, certamente, avere molto da ridire sull’originale teoria economica del Ministro ma, per il momento, val la pena restare alle “immagini”, talvolta più eloquenti delle parole.
E le immagini in questione sono quelle di un Ministro della Repubblica che prende in mano uno smartphone firmato Apple, dicendo che l’equo compenso per copia privata non lo pagano i consumatori e questo screenshot dell’Apple store in cui si spiega che il prezzo di vendita dello smartphone brandito dal Ministro comprende la “tassa sul copyright”, pragmatica ed efficace espressione statunitense per definire proprio l’equo compenso per copia privata.
Verrebbe voglia di dire al Ministro: Caro Ministro, l’equo compenso per copia privata lo ha pagato anche Lei quando ha acquistato l’iphone 5 che ha mostrato ai Parlamentari che l’ascoltavano o l’ha pagato il suo Ministero se si tratta di uno “smartphone di stato”!
Se questa immagine non bastasse, ce n’è un’altra che vale la pena sfogliare.
Viene, direttamente, dal sito della SIAE – la società italiana autori ed editori – ovvero la regista, poco occulta, di questa brutta storia italiana.
Basta, infatti, navigare fino alla voce “rimborsi” dell’equo compenso per copia privata per imbattersi in un paragrafo nel quale si spiega come la Pubblica amministrazione possa chiedere il rimborso dell’equo compenso per copia privata che si ritrova a versare quanto acquista – persino attraverso gare pubbliche – dispositivi o supporti che intenda utilizzare esclusivamente nell’ambito della propria attività istituzionale.
Un’altra immagine che vale più di centinaia di parole.
Tanto e falso quanto il Ministro Franceschini continua a ripetere che il suo stesso Ministero – al pari di ogni amministrazione italiana – paga, proprio come ogni comune consumatore, l’equo compenso per copia privata salvo poi avere la possibilità [ndr della quale sarebbe interessante verificare quante amministrazioni si avvalgono per davvero] di chiederne alla SIAE il rimborso.
Davvero difficile immaginare che si possa chiedere il rimborso di qualcosa che non si è pagato.
Verrebbe voglia di fermarsi qui, ma, forse – a beneficio del Ministro e dei suoi consulenti – val la pena richiamare un’altra “immagine”, anch’essa proveniente proprio dal sito della SIAE sul quale è, tra l’altro, pubblicata una relazione, dello scorso 17 febbraio, della Commissione Giuridica del Parlamento europeo in materia proprio di equo compenso per copia privata.
Lo scorso 7 maggio, nel corso dell’audizione dinanzi alla Commissione Cultura della Camera dei Deputati, il Ministro Franceschini ha dichiarato: “le indicazioni europee prevedono che non può scaricarsi sul consumatore”.
Un’altra menzogna, plasticamente smentita da uno stralcio della citata relazione nel quale si legge: “considerato che il prelievo per copie private è pagato dai consumatori al momento dell’acquisto di supporti o servizi di registrazione o di stoccaggio e che, a questo titolo, i consumatori hanno diritto di conoscerne l’esistenza e l’importo…ritiene che i consumatori debbano essere informati dell’importo, delle finalità e dell’utilizzo dei prelievi che pagano…e…sollecita pertanto la Commissione e gli Stati membri, a garantire di concerto con i fabbricanti, gli importatori, i dettaglianti e le associazioni di consumatori che tali informazioni siano disponibili in maniera chiara ai consumatori”.
Ogni altra parola sarebbe, davvero, di troppo.
E’ pacifico per tutti – istituzioni europee incluse – che l’equo compenso per copia privata lo pagano i consumatori e che, dunque, è ai cittadini italiani e non alle grandi multinazionali extraeuropee, come il Ministro e la SIAE continuano a ripetere, che si è appena chiesto di pagare decine di milioni di euro all’anno.
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Caro Ministro, forse, le capiterà di leggere questo post. Mi permetta, quindi, con il rispetto che un cittadino deve ad un suo rappresentante, di invitarLa a rivedere la Sua posizione, a prendere le distanze da quanto Le hanno suggerito di fare e di dire, in questa brutta storia di mala-politica e mala-amministrazione. Chieda scusa ai cittadini italiani, ammetta ciò che, nell’attività di un Ministro, probabilmente, può capitare ovvero l’essersi fidato delle persone sbagliate, sollevi da ogni incarico chi l’ha condotta a giocarsi la sua reputazione di uomo politico mentendo ai suoi elettori [in quando parlamentare] ed ai suoi amministrati [in quando Ministro], eserciti i suoi poteri di vigilanza sulla SIAE chiedendo conto, tra l’altro, della gestione del fiume di denaro di cui, con il suo decreto, le ha garantito l’incasso e, soprattutto, annulli, in autotutela, il Decreto, ricominciando tutto da capo, in modo davvero trasparente e condiviso.
I cittadini italiani apprezzeranno un gesto, obiettivamente, inusuale e, forse, sapranno capire e perdonare.
La memoria della Rete è indelebile e, in caso contrario, le tante bugie che l’hanno indotta a ripetere per negare di aver deciso di affondare le mani nelle tasche degli italiani, la perseguiteranno nella lunga carriera politica che, certamente, l’attende.