Ancora una volta Israele riempie le pagine dei giornali, le cronache dei media, assieme ai nemici di Hamas. E ancora una volta ci si trova a raccontare la cronaca di una guerra asimmetrica in cui non ci può essere un vincitore nè un perdente, a parte naturalmente i civili, e soprattutto non potrà essere Israele, pur con i suoi soli 6 milioni di abitanti (di cui il 20% arabi), il perdente.
La forza di Israele che si perpetua e aumenta nel tempo non è infatti solo militare, ma strettamente collegata vi è una forza economica che le permette di rimanere sempre al top della tecnologia nella regione, pur circondata da popoli ostili. Ormai da decenni una economia avanzata anche negli ultimi anni il PIL israeliano è cresciuto notevolmente più di quell dei vicini europei:
Più del 3% nel primo trimestre 2014, che segue performances simili o anche migliori nel 2014, sono meglio di quanto Paesi con analogo livello di reddito potrebbero mai sognare nella UE, Germania compresa, alla pari solo di crescite di Paesi come la Romania o i Paesi Baltici che però sono a un livello di sviluppo molto inferiore.
Un confronto chiarificatore viene accostando Israele ai Paesi mediterranei europei come Italia, Spagna, Grecia.
Dalla crisi economica Israele emerge come il Paese con il maggiore reddito procapite misurato seguendo la Purchase Power Parity, la Parità del Potere d’Acquisto:
Negli anni aveva avuto un andamento simile a quello spagnolo, sempre inferiore ai livelli italiani, anzi avendo una crisi a inizio anni 2000 quando piuttosto era andato a livelli greci, ma la crisi che ha colpito il mediterraneo europeo ha quasi solo sfiorato Israele che ora si trova ad avere un reddito divergente come non mai rispetto alla Grecia e agli altri Paesi.
Le differenze nella crescita si riflettono sul rapporto debito pubblico / PIL, basti osservare, come di seguito, che se nel 2003 Iseaele aveva un livello solo del 10% in meno dell’Italia di debito sul reddito, ora ha esattamente la metà, 66% contro il 132%, ed è sceso sotto al livello anche della Spagna, che aveva sempre superato.
Questo permette allo Stato ebraico di emettere titoli denominati in euro che incontrano na domanda 5 volte l’offerta, come accaduto nel gennaio di quest’anno, con uno spread rispetto alla Germania di 115 e un tasso a 10 anni del 2,93% e il rating S&P è A+/A-1 con un outlook stabile, decisamente meglio quindi del rating italiano.
Questa affidabilità permette a Israele di aver eun rapporto deficit/PIL superiore al 3%, il 3,15%, però, è da notare, inferiore a quello preventivato per il 2013, il 3,65%, segno di una economica cresciuta oltre le attese.
Il livello di spesa pubblica sul PIL è così potuto scendere costantemente, toccando il 40% ed è ora notevolmente più basso non solo di Italia e Grecia, ma anche della Spagna, che engli anni scorsi era tra i minori.
Da notare è che lo Stato israeliano è nato su principi socialisti e solidaristici e accanto a un welfare di tipo europeo ha tratti peculiari come una massiccia spesa militare, come ovvio, in ricerca e sviluppo, e anche nell’accoglienza di immigrati, sia ebrei che compioni l’Aliyah, il ritorno, che africani.
Da un punto di vista qualitativo, l‘altissimo livello tecnologico dell’industria israeliana, leader in campi come la farmaceutica, l’agronomia, l’industria della difesa, con le relative ricadute, continuano a mantenere positiva la bilancia dei pagamenti israeliana, nonostante la crescita sostenuta, ormai dal 2003, meglio di quanto facciano i 3 Paesi europei analizzati, che hanno sì migliorato la propria bilancia recentemente, ma soprattutto per crolli dell’import.
Nel caso di Israele si è assistito a fine 2013 un aumento dell’export del 9,5% rispetto al trimestre precedente, trend trainato dall’hi tech, che dimostra come a dispetto degli azzardi dei suoi leader lo Stato ebraico voglia rimanere a stretto contatto con il resto del mondo, e in prima fila nel contributo economico.