Lucrezio, il suo tempo e la filosofia epicurea. Un viaggio nel De rerum natura

Pubblicato il 8 Aprile 2018 alle 12:27 Autore: Salvatore Mirasole
Lucrezio de rerum natura

Lucrezio, il suo tempo e la filosofia epicurea. Un viaggio nel De rerum natura

Sei libri per un totale di 7415 esametri, suddivisi in tre gruppi da due libri in base ai grandi temi proposti (divisione così semplificata più dalla critica moderna che dallo stesso autore): la fisica, prima diade; l’antropologia, seconda diade; la cosmologia, terza ed ultima diade. Rappresentazione con il verso dell’epos del mondo, dell’uomo e di ciò che va oltre l’uomo: De Rerum Natura for dummies.

Ma per leggere Lucrezio e, soprattutto, capirlo occorre dapprima inquadrare la cornice socio-culturale all’interno della quale il De Rerum Natura viene concepito e partorito.

Per Roma tale cornice è un periodo di crisi, uno dei cruciali nodi risolutivi della sua millenaria storia: la metà del I a.C., gli anni finali e fatali della repubblica, quelli del passaggio da quest’ultima al principato. Sono anni di forte contrasto economico e sociale, di guerre fratricide, complotti (si pensi alla congiura di Catilina, la cui politica per certi versi sarà ripresa da Cesare, anch’egli com’è noto vittima di questa convulsa fase di incontri e scontri).

 

Nel sangue civile ammassano beni, la loro ricchezza raddoppiano avidi, ammucchiano stragi su stragi; crudeli gioiscono di un triste lutto fraterno, e odiano e temono il desco dei loro congiunti. (De Rerum Natura 3, 70-73, trad. Luca Canali)

 

Roma non è più la piccola polis italica ma una vera e propria metropoli spirituale, culturale, oltre che politico-militare, inserita in un organismo statale ed etnico incredibilmente vasto e complesso: il risultato di un lunga e travagliata fase imperialista (sec. III-II a.C., le guerre puniche sono la prima e più celebre fase) che ha portato la cittadella del Lazio oltre il Mediterraneo.

L’avvento dell’epicureismo: una diffusione capillare

Tale processo ha naturalmente portato ad una frattura con quelli che erano i valori della Roma di un tempo, la Roma agricola del mos maiorum e delle dodici tavole. Frattura che in campo culturale è ben sintetizzata da alcune correnti, sia in campo filosofico che poetico. L’epicureismo ad esempio, il neoterismo in poesia, e volendo potremmo aggiungere anche l’antitetica dualità tra atticismo e asianesimo nel campo della retorica, che pure questa era parte fondamentale della cultura romana. Già nel secondo secolo precedente vi erano stati dei tentativi da parte dell’epicureismo di penetrazione finiti male: cioè con un provvedimento di espulsione nei confronti di Alceo e Filisco, i quali avevano tentato di diffondere la filosofia del giardino nell’urbe, ma i tempi non erano ancora maturi: Roma non era ancora pronta per la forza novatrice del verbo di Epicuro. Nel primo secolo la musica cambia: l’epicureismo ha raggiunto i vari strati della società romana; Calpurnio Pisone Cesonino, rango consolare, si diceva protettore di filosofi epicurei; ad Ercolano tenevano lezioni Filodemo di Gàdara. Un’altra scuola epicurea sorgeva a Napoli dove insegnava Sirone. Qui vi studiò Virgilio e forse anche Orazio ebbe contatti con questo cenacolo.

Attico, Cesare, Cassio avevano tendenze epicuree, sebbene Cesare se ne distaccò fortemente poi nella prassi (cosa che Lucrezio non gli avrebbe mai perdonato). Ma anche nelle classi inferiori circolavano le idee epicuree. Ce lo dice Cicerone nelle Tusculanae Disputationes: traduzione di scritti epicurei, in cattiva prosa latina, da parte di un certo Amafinio e Cazio, circolavano presso la plebe. La cattiva prosa latina in parte rientrava anche nei precetti linguistici di Epicuro, che invitava ad uno stile limpido affinché fosse aperto a facile comprensione da parte di tutti. Naturalmente l’etichetta di cattiva prosa è una frecciatina del caro Cicero, il quale non aveva simpatie né per la precettistica epicurea, né per un stile così scabro e disadorno.

Come si diffonde l’epicureismo romano

L’epicureismo, nella sua diffusione nel mondo, è legato alle condizioni particolari in cui la società romana venne a trovarsi (Antonio Traglia, Sulla formazione spirituale di Lucrezio, Roma, 1948):

 

Non bisogna dimenticare il carattere che ad un certo punto assunse l’epicureismo romano, di aperta rivoluzione spirituale contro un mondo in sfacelo. Il mondo che crollava era quello della nobiltà romana, il mondo degli Scipioni imbevuto di stoicismo che, non avendo saputo evitare il collasso, era chiamato a risponderne come diretto o indiretto responsabile. Non considerare questo carattere [..] significa rinunciare a comprendere il suo vero valore storico e non è in grado di cogliere le ragioni ambientali che determinarono la nascita del poema lucreziano.

 

L’epicureismo romano, in queste condizioni, si presenta come una filosofia nel complesso dotata di una forte carica rivoluzionaria, capace di formare coscienze scettiche, iconoclaste nei confronti dei valori tradizionali, sensibile alle idee novatrici. Esempio: se la religione è un affare di Stato, l’attacco di Lucrezio contro gli dei è un attacco politico. E’ probabile che Lucrezio scrisse colpendo in pieno un sentimento a lui contemporaneo, qualcuno sostiene.

Il diverso epicureismo di Lucrezio

Quello di Lucrezio però è un epicureismo che prende una strada diversa da quella dei cenacoli di Napoli ed Ercolano. Innanzitutto la forma: Lucrezio scrive – come si sa – un poema didascalico (che ha come destinatario Gaio Memmio, il patrono ed amico di Cinna e Catullo) in sei libri, probabilmente incompiuto o comunque mancante di una revisione finale, per un totale di 7415 versi esametrici: il verso dell’epos omerico e Epicuro si era scagliato contro i poemi omerici, attaccando la base stessa della paideia greca e quindi della trasmisione del sapere (Omero, maestro di tutte le cose, lo chiamavano i greci).

Filodemo, ad esempio, aveva al più coltivato una raffinata poesia scherzosa e borghese, attenendosi così ai precetti del maestro. Dunque perché Lucrezio intraprende questa via? Innanzitutto vale la pena di ricordare quello che ci dice Lucrezio stesso a tal proposito: egli cosparge col miele delle Muse una dottrina “amara”, ardua, così come i medici per far bere l’assenzio ai fanciulli cospargono di miele l’orlo delle coppe. Quindi motivo di matrice estetica, indubbiamente, come lo stesso autore chiarisce. A ciò si potrebbe anche aggiungere un’altra finalità:

Lucrezio potrebbe aver voluto raggiungere gli strati elevati della società romana, la sua elite culturale, con un messaggio che fosse rivestito di una bella patina e che non avesse nulla da invidiare ad altre opere filosofiche ugualmente magniloquenti, come ad esempio lo stesso Perí Fúseos (il cui significato è lo stesso del lucreziano De Rerum Natura) di Empedocle, che Lucrezio in una qualche misura imita. E forse ci riuscì a raggiungere quello strato sociale, se davvero Ciceron Titus Lucretius poeta nascitur: qui postea amatorio poculo in furorem versus, cum aliquot libros per intervalla insaniae conscripsisset, quos postea Cicero emendavit, propria se manu interfecit anno aetatis XLIV. (Nasce il poeta Tito Lucrezio: dopo essere stato indotto alla pazzia da un filtro d’amore e aver scritto un certo numero di libri, negli intervalli che la pazzia gli concedeva, [libri] che successivamente Cicerone corresse, di uccise all’età di 43 anni.) Ed ancora, lo stesso Cicerone;

Lucreti poemata, ut scribis, ita sunt, multis luminibus ingeni, multa tamen artis. (Così come tu mi scrivi, l’opera di Lucrezio presenta un ingegno dalle molte luci e, tuttavia, molta tecnica)

 

Dunque arrivò a suscitare l’ammirazione di uno strenuo conservatore, che certamente non condivideva quegli ideali filosofici, egli che aveva rielaborato una filosofia eclettica ma per larga parte stoica, come del resto aveva fatto tutta l’elite conservatrice.

Lucrezio ed Epicuro: una lettura idealizzata, senza compromessi e senza indulgenze

L’epicureismo di Lucrezio è una dottrina ortodossa, egli è un po’ un protestante, perché non ha elementi di mediazione tra sé e il suo maestro Epicuro: egli muove i suoi passi in solitudine partendo dal testo stesso epicureo.

Quello di Lucrezio, che naturalmente leggiamo in una forma (quella poetica) per sua stessa natura idealizzata, è un temperamento impegnato, granitico, incapace di fare compromessi e concedere indulgenze, la cui coscienza è pervasa da un eroismo morale e da un vivido senso della condizione umana, teso verse mostrò interessi nei confronti dell’opera. Nella traduzione Chronicon di Eusebio fatta da San Girolamo, egli inserisce una notizia interessante per noi:

o la realizzazione di una identità assoluta di teoria e pratica, identità dunque tra dottrina e vita, lontano dall’elaborazione alla moda del verbo epicureo: cioè un’elaborazione fondata su una voluptas quotidiana e sensuale, quasi un’elaborazione da intellettuali raffinati e ricchi gaudenti (sostiene Luca Canali in Lucrezio poeta della ragione), l’hedoné catastematica epicurea, cioè rivolta al piacere statico.

Perché spendere così tante parole, in realtà ben poche, per una filosofia penetrata tutto sommato tardi nella storia? Perché il De Rerum Natura è il felice tentativo di tradurre in versi la dottrina epicurea, nella quale il vate Lucrezio vide un’alternativa ad un mondo tragico basato sulla violenza e le paure di una società che andava disfacendosi rapidamente.

Consigli e avvertenze per la lettura di Lucrezio

La lettura del De Rerum Natura (forse) non è per tutti. E per chi vi si vuole avventurare, la strada è tutta in salita. Per scrivere la sua opera, Lucrezio si inventa una nuova lingua poetica: ciò che Plauto rappresenta per il teatro, cioè un’inesauribile vulcano linguistico, Lucrezio lo è per la poesia didascalica. I suoi esametri sono ostici, la lingua piena di figure retoriche, di suoni e concetti che si reiterano allo sfinimento, arditi calembour e enjambement, numerosi arcaismi, parole rare e preziose, parole nuove e perifrasi macchinose per sopperire alla povertà della lingua dei padri (com’egli stesso la definisce, patrii sermonis egestas).

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Un esempio su tutti: per confutare la paura della morte (o meglio, razionalizzare il processo di morte inserendola in un percorso naturale e quindi necessario), nel terzo libro, Lucrezio dispiega ben 29 prove per sostenere la sua tesi, corredandoli di immagini suggestive e gonfie di retorica lungo l’arco di circa 400 versi (417-829).

 

Inoltre sentiamo che la mente nasce insieme col corpo, e cresce con esso e del pari con esso invecchia. Infatti come i fanciulli vagano con il debole e tenero corpo, così lo segue la fragile saggezza dell’animo. Poi, quando l’età è cresciuta con robuste forze, anche l’intelletto matura e maggiore è l’energia dell’animo. In seguito, quando il corpo è ormai fiaccato dall’implacabile assalto del tempo,e le membra vacillano per il venir meno delle forze, la ragione si fa claudicante, la lingua delira, la mente inciampa, tutto scema e nel medesimo tempo s’estingue, E dunque necessario che tutta la natura dell’anima si dissolva, come fumo, nell’alto spirare dei venti. (vv. 445-456 trad. Luca Canali)

 

Lucrezio, De Rerum Natura: “Un viaggio nell’esistenza cosmica e umana che trae dal necessario spettacolo del mondo il suo rapimento artistico”

Nonostante le evidentissime difficoltà, il De Rerum Natura va tutt’altro che dimenticato anche, e soprattutto, in virtù della singolare ostilità contro la quale pure l’esperto latinista si scontra. Unica nel suo genere, pochissime opere vi si avvicinano, ma la sfiorano appena, in quanto ad angoscia artistica, forma letteraria e finalità. Forse, solo la Piccola Cosmogonia Portatile di Raymond Queneau può vantare affinità con la fatica letteraria lucreziano, pubblicata circa duemila anni dopo, sebbene vi siano pure sostanziali differenze.

Un viaggio nell’esistenza cosmica e umana che trae dal necessario spettacolo del mondo il suo rapimento artistico.

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