L’Ungheria blocca la dichiarazione europea sulla crisi tra Israele e Palestina. I ministri degli Esteri dell’Unione hanno chiesto martedì un cessate il fuoco tra israeliani e Hamas, trovando però l’opposizione di Budapest.
La riunione ministeriale ha inoltre approvato un incremento del pacchetto di aiuti per Gaza. Il consesso non ha però raggiunto l’unanimità, a causa della decisione dei magiari di non appoggiare la richiesta di una tregua. La mancata unanimità potrebbe ridurre la già limitata influenza di Bruxelles sul dossier in questione.
La scelta ungherese di non sostenere l’iniziativa promossa da Josep Borrell, alto rappresentante per gli affari esteri dell’UE, rende evidente lo stretto legame tra Israele e Ungheria. Il Paese guidato da Viktor Orbán è il principale alleato dello Stato mediorientale all’interno del blocco europeo.
Nonostante lo sgambetto ungherese, gli altri Paesi europei hanno promesso che l’Unione cercherà di rilanciare il processo di pace insieme a Stati Uniti, Russia e Nazioni Unite.
“Possiamo innanzitutto tentare di ottenere una tregua e successivamente fornire aiuti umanitari” – ha dichiarato a Reuters Evarist Bartolo, il ministro degli Esteri maltese – “È poi necessario cercare di riavviare il processo di pace in Medio Oriente, al fine di affrontare le cause della violenza. Non possiamo lasciare che siano gli estremisti di ambo le parti a dettare l’agenda”.
Il ministro degli Esteri francese, Jean-Yves Le Drian, concorda con il collega maltese. “Il quartetto di mediatori per il Medio Oriente, composto da Unione Europea, Russia, Stati Uniti e Nazioni Unite, è il forum ideale per spingere la ripresa del processo di pace israelo-palestinese, arenatosi nel 2014″.
La posizione dell’Ungheria
Budapest giudica la posizione di Bruxelles oltremodo unilaterale. Il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó, ha spiegato che per questo motivo l’Ungheria ha preferito non appoggiare la dichiarazione dell’Unione Europea a favore di un cessate il fuoco nella crisi tra Israele e Palestina. “Queste dichiarazioni sono eccessivamente di parte e non aiutano, specialmente in situazioni di crisi come quella attuale” – ha affermato Szijjártó -“Bloccare tali decisioni è un diritto di ogni membro dell’Unione”.
Al termine del suo intervento il ministro ungherese ha invitato la diplomazia europea a rivedere i propri strumenti. Secondo Szijjártó, Bruxelles dovrebbe fare meno uso di sentenze, conferenze, dichiarazioni negative e sanzioni, puntando invece su una cooperazione più pragmatica. Solo così la comunità europea acquisterebbe forza e peso diplomatico.
La lenta risposta internazionale alla crisi
La lentezza con cui i Paesi occidentali stanno rispondendo alla crisi tra Israele e Palestina ha suscitato un’ondata di critiche, soprattutto da parte della Turchia.
Gli Stati Uniti hanno sostenuto pubblicamente l’idea di una tregua solamente lunedì, nel corso di un colloquio tra il presidente Joe Biden e il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Nella stessa giornata di lunedì il capo della diplomazia europea Borrell ha discusso la questione con il segretario di Stato americano Antony Blinken.
L’Unione Europea, nonostante sia il principale partner commerciale di Tel Aviv e un corposo donatore di aiuti ai palestinesi, si è mostrata riluttante ad intervenire. Bruxelles avrebbe gli strumenti per sollecitare il governo israeliano a diminuire la pressione sui palestinesi, ma fino ad ora si è tenuta lontana dall’adozione di misure come le sanzioni economiche.
Un’Unione Europea divisa su Israele
La comunità europea ha opinioni divergenti sulla questione israelo-palestinese. Alcuni dei Paesi più piccoli, tra cui Belgio, Irlanda e Finlandia, difendono apertamente i palestinesi. Diversi parlamentari belgi hanno proposto di vietare i viaggi nell’Unione e il congelamento dei beni nei confronti di politici israeliani.
L’adozione di misure coercitive nei confronti di Tel Aviv non convince però Berlino. Martedì la Germania ha anche promesso 40 milioni di euro di aiuti umanitari per i civili della striscia di Gaza.
I membri del blocco di Visegrád, oltre che Austria e Grecia, sono invece apertamente schierati a fianco di Israele.