Incarico esplorativo o preincarico di governo: cosa significa e come funziona
Incarico esplorativo o preincarico di governo: cosa significa e come funziona
Preincarico di governo e incarico esplorativo. Sono queste le parole che, in questi giorni, stanno riempiendo le pagine dei giornali. Perché queste sono le soluzioni più accreditate che il presidente Sergio Mattarella potrebbe prendere nella sua “pausa di riflessione”. Una pausa che si è resa necessaria dopo la fumata nera dopo il secondo giro di consultazioni. Sembrano sinonimi, preincarico e incarico esplorativo. Ma non lo sono affatto.
Preincarico esplorativo: il capo dello Stato va sul sicuro ma non sempre
Il preincarico di governo, infatti, è utilizzato quando il Capo dello Stato sa di andare sul sicuro. O, almeno, che sulla carta, esiste una soluzione alla crisi politica. Il preincarico si verifica quando ci sono i presupposti perché qualcuno formi un nuovo governo. A questo punto, se il nominato accetta con riserva, farà un giro di consultazioni con tutte le forze politiche. E se l’esito sarà positivo, scioglierà la riserva accingendosi a varare l’esecutivo. Che, nei passaggi successivi, giurerà davanti al capo dello Stato e riceverà la fiducia dalle Camere.
Preincarico, comunque, non vuol dire automaticamente ricevere l’incarico. O, comunque, sciogliere la riserva. Non a caso, nella sua definizione, la Treccani mette in luce questo aspetto:
“incarico conferito dal capo dello Stato, in caso di crisi di governo, a personalità di rilievo politico perché verifichi le possibilità di soluzione; viene affidato (e si distingue pertanto dall’incarico, o mandato, esplorativo) a chi presumibilmente riceverà poi l’incarico vero e proprio”
Un caso di preincarico non andato a buon fine l’abbiamo visto anche in tempi più recenti. Nel 2013, ad esempio, Giorgio Napolitano conferì all’allora segretario del Partito Democratico, Pier Luigi Bersani, un preincarico. Che si concluse in un nulla di fatto. Bersani non voleva scendere a patti con il centrodestra, ma non riuscì a far convergere sul suo nome il Movimento Cinque Stelle. La crisi politica trovò una soluzione solo in un secondo momento. Con il passo di lato di Bersani, e la nascita del governo Letta, appoggiato da una “Grande coalizione”.
Incarico esplorativo: la soluzione alle crisi politiche più gravi
L’incarico esplorativo, invece, è differente. Si tratta del mezzo a cui il Capo dello Stato ricorre se la crisi politica è particolarmente complessa.
Di norma, l’incarico esplorativo è conferito ad un uomo delle istituzioni. Il presidente della Camera, o quello del Senato. La convinzione, in questo frangente, è abbastanza intuibile. Chi, in un quadro di crisi politica, è riuscito a farsi eleggere per lo scranno più alto di una delle due Camere , è sicuramente un personaggio gradito da più forze politiche. Che potrebbero trovare sul suo nome una sintesi.
Così come potrebbero optare per una soluzione alternativa. Rispetto al preincarico, infatti, con l’incarico esplorativo è maggiormente difficile ottenere il disco verde dal Quirinale per formare il nuovo governo.
Quando l’incarico esplorativo ha assicurato la transizione verso una nuova formula politica
Questo lo ha detto soprattutto la storia. Come ricostruito dall’Agi, l’incarico esplorativo è stata la soluzione chiave usata dal Quirinale proprio nelle fasi di transizione da una formula politica all’altra. Ma in cui, raramente, l’interessato è poi andato a Palazzo Chigi.
Giovanni Leone traghettò l’Italia dal centrismo degasperiano al centro-sinistra organico di Aldo Moro. Sempre Leone inaugurò una lunga serie di mandati esplorativi, che si susseguirono nel delicato passaggio dal centro-sinistra organico alla “Solidarietà nazionale”. In cui provarono a risolvere la crisi politica anche Sandro Pertini (1968), Amintore Fanfani (1969), Aldo Moro (1970) e Giovanni Spagnolli (1974). Ma senza successo.
Lo stesso accadde a Tommaso Morlino nel 1983, e l’esito fu quello di elezioni anticipate. Il copione si ripetè nel 1987, quando di incarichi esplorativi ce ne furono tre. Il primo, a Giulio Andreotti. Il secondo, a Nilde Iotti, la prima donna e prima comunista ad arrivare vicina alla stanza dei bottoni. Il terzo ad Amintore Fanfani. Che varò il suo ultimo governo, passato alla storia per esser stato il più breve dell’epoca repubblicana. Undici giorni in carica e 91 per il disbrigo degli affari correnti.
Incarico esplorativo: i casi passati alla storia
L’uso dell’incarico esplorativo si è, invece, diradato nell’ultimo trentennio. Nel 1989, il tentativo di Giovanni Spadolini portò all’inizio dell’ultimo quadriennio andreottiano. Nel 1996, quello del ministro tecnico uscente Antonio Maccanico alle elezioni anticipate poi vinte dall’Ulivo. Quindi, nel 2008, quello dell’allora presidente del Senato Franco Marini, che portò alla tornata anticipata che vide Berlusconi tornare a Palazzo Chigi.
Casi, anche questi ultimi due, in cui si è verificata una transizione da una vecchia ad una nuova formula politica. Dal tripolarismo al bipolarismo prima. Dal bipolarismo al pluripartitismo poi.
In quale direzione andrà il Paese, comunque, lo dirà il presidente Mattarella, con la sua scelta. Che potrebbe anche contemplare altre due soluzioni. Una commissione di saggi, come fece Napolitano nel 2013, o quella che appare oggi più come una extrema ratio. E che in fondo resta sempre attuale. Il ritorno alle urne anticipato, che farebbe della XVIII legislatura la più corta di sempre.