Malgrado le reazioni negative della comunità internazionale e delle opposizioni, Bashar Al-Assad vuole tirare dritto con le elezioni del 26 maggio. E così alcuni cittadini siriani tra meno di una settimana si recheranno alle urne per eleggere il Presidente del Paese. Si dice “alcuni” perché saranno in molti a vedersi negato questo diritto. Infatti in Siria voteranno solamente quanti vivono nelle zone sotto il controllo governativo, mentre all’estero lo farà chi potrà avere accesso alle sedi diplomatiche. La guerra civile è entrata da poco nel suo decimo anno e sono ancora molte le aree in cui Damasco non esercita la sua sovranità, come ad esempio i cantoni curdi del nord-est e le zone sotto il controllo dell’esercito turco. Si tratta di circa il 30% del territorio nazionale e 7 milioni di persone, parecchie se si considera che la popolazione totale era stimata sui 17,5 milioni nel 2020. Inoltre l’isolamento di Al-Assad sulla scena diplomatica ha portato alla chiusura delle legazioni in alcuni stati. Quasi inutile a dirsi, il fatto che a votare sarà una minoranza è una delle obiezioni più popolari tra gli scettici di questa tornata.
Le regole del voto
Dal punto di vista procedurale, la Repubblica Araba Siriana adotta un sistema uninominale a doppio turno per le elezioni presidenziali. Diventa Presidente colui che riceve più del 50% delle preferenze al primo turno, comprese le schede bianche e nulle, o che riceve la maggioranza dei voti al secondo turno. Dal punto di vista costituzionale sono molte le regole (e gli impedimenti) che scandiscono il processo elettorale. I candidati devono essere approvati da un minimo di 35 membri del Consiglio del Popolo, il parlamento nazionale. Poiché 177 dei 250 parlamentari fanno parte della coalizione di governo e gli altri 73 sono considerati comunque vicini al Presidente, è facile intuire quale sia la seconda critica lanciata dalle opposizioni. Oltre al beneplacito parlamentare, i candidati devono essere di fede islamica (il che esclude dalla competizione i cristiani, circa il 10% della popolazione), cittadini siriani da due generazioni, non possono avere né cittadinanze né coniugi stranieri e devono vivere in Siria da almeno dieci anni. Questa norma impedisce di candidarsi a milioni di siriani che dall’inizio della guerra civile vivono all’estero, a partire dai membri delle opposizioni.
Chi sfiderà Bashar Al-Assad
A sfidare il Leone (questo infatti è il significato in arabo della parola “Assad”) o, secondo i detrattori, il Macellaio di Damasco saranno due uomini. Il primo è Mahmoud Maire, esponente dell’Unione Democratica Araba Socialista. L’UDAS è un partito di matrice pan-araba e socialista che si rifà ai principi del nasserismo. Il secondo invece è Abdullah Salom Abdullah, capo del Partito Socialista Unionista, altra forza politica ispirata al nasserismo nata da una scissione in seno al partito di Assad, il Ba’ath. L’affinità ideologica tra i tre candidati, tutti sostenitori dei principi di secolarismo, panarabismo e socialismo, suscita diversi dubbi sulla reale natura competitiva dei comizi. A mancare all’appello sono le forze politiche delle minoranze, curdi in primis, e quelle vicine all’Islam politico (i Fratelli Musulmani sono banditi dal Paese). Nonostante ciò, ben 51 sono state le persone che hanno sottoposto la propria candidatura al parlamento, tra cui sette donne e un curdo.
Le opposizioni e la comunità internazionale
Come già accennato, sono in molti a mettere in dubbio la legittimità delle elezioni. Da Parigi il Syrian Network of Human Rights ha invitato a boicottare l’appuntamento elettorale, considerato una farsa. Tutti gli oppositori infatti lo ritengono un ulteriore strumento di legittimazione per l’uomo forte di Damasco, la cui vittoria è data per certa. Anche le Nazioni Unite sono della stessa opinione. Secondo Stephane Dujarric, portavoce del Segretario Generale Antonio Guterres, la Siria sta violando la risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza. Tale risoluzione prevede la negoziazione politica come unico strumento di risoluzione della questione siriana. Più nello specifico, il provvedimento conferisce all’ONU il mandato di sovrintendere i colloqui tra il governo e le opposizioni e la stesura di una nuova costituzione, premesse fondamentali per qualsiasi tipo di elezione. Dal momento che i due processi sopracitati non si sono svolti, l’ONU non considera libere e valide le elezioni del 26 maggio. Diversi attori si sono allineati su questa posizione, tra i quali soprattutto Stati Uniti, Regno Unito, Unione Europea e Turchia.
La strategia del Presidente
Per far fronte alle sfide sul piano interno e internazionale e assicurarsi la quarta rielezione, Al-Assad ha elaborato una duplice strategia. Per prima cosa è venuto incontro alle richieste del popolo con provvedimenti come l’aumento dei salari degli impiegati statali e il contrasto alla speculazione sul valore della lira siriana. In seconda istanza sono stati chiamati osservatori di Paesi amici a sovrintendere l’andamento delle elezioni. Per questo motivo operatori provenienti da Russia, Iran, Cina e Cuba si recheranno nel Paese per testimoniare che il voto sarà in linea con gli standard internazionali. La Russia più di tutti si è lamentata della rapidità con cui la diplomazia internazionale ha classificato come non libere le elezioni. Tra gli argomenti più popolari usati dai sostenitori del Presidente c’è la nuova Costituzione del 2012, considerata un importante passo avanti verso la riconciliazione nazionale. Altro argomento ricorrente sono le numerose amnistie di cui, come sembra, diversi combattenti ribelli hanno beneficiato, l’ultima delle quali emanata proprio a inizio maggio.
Il voto all’estero
I cittadini siriani residenti all’estero, più nello specifico in 43 stati, hanno già votato il 20 maggio. Tra questi Paesi vi sono la Russia, gli stati del Golfo (eccetto Qatar e Arabia Saudita) e alcuni stati dell’Asia e del Sudamerica. Altri Paesi come Stati Uniti, Regno Unito, Germania e Turchia hanno vietato ai cittadini siriani di votare sul proprio territorio. I siriani residenti in Germania, circa 750.000 compresi i minorenni, hanno potuto votare presso l’Ambasciata siriana di Bruxelles. In Italia invece il voto non si è potuto svolgere poiché le relazioni con Damasco sono state interrotte nel 2013. A Beirut, dove numerosi siriani si sono presentati all’ambasciata locale, si sono verificate lunghe code e alcuni tafferugli tra sostenitori e oppositori di Assad.