Poste Italiane: buoni fruttiferi con timbro mancante o scaduto. Cosa fare

Poste Italiane: buoni fruttiferi con timbro scaduto o mancante

Poste Italiane: buoni fruttiferi con timbro mancante o scaduto. Cosa fare.

Tra i casi più particolari relativi ai buoni fruttiferi emessi da Poste Italiane spiccano quelli che riguardano la mancanza del timbro sui buoni stessi; oppure la presenza del timbro, ma scaduto. Cosa fare in questi casi? Ci sono casi di giurisprudenza di riferimento che parlano della questione? Andiamo quindi a scoprire come comportarsi nel caso di buoni fruttiferi postali con timbro mancante o scaduto.

Poste Italiane: buoni fruttiferi con timbro scaduto o mancante

A cercare di risolvere la questione, ci ha pensato Anna D’Antuono, avvocato e consulente legale ADUC. “In occasione delle modifiche alle serie dei Buoni Fruttiferi, negli uffici postali si sono sempre usati fino a esaurimento i certificati delle serie precedenti; apponendovi uno o più timbri con le condizioni in vigore al momento dell’emissione”. Questo comportamento risulta conforme a quanto previsto dalla legge; tuttavia può essere ancora un problema per Poste Italiane e Cassa Depositi e Prestiti.

Infatti, nell’eventualità in cui il timbro di aggiornamento sul buono sia mancante o scaduto, bisogna fare riferimento alla sentenza di Cassazione a Sezioni Unite n. 13979 del 15 giugno 2007. Quest’ultima “prevede che il collocamento dei buoni dà luogo alla conclusione di un accordo negoziale tra emittente e sottoscrittore; e nell’ambito di detto accordo l’intermediario propone al cliente e quest’ultimo accetta di porre in essere un’operazione finanziaria caratterizzata dalle condizioni espressamente indicate sul retro dei buoni oggetti di collocamento. I quali vengono compilati, firmati, bollati e consegnati al sottoscrittore dall’ufficio emittente”.

Sostanzialmente, cosa significa questo? Come già ribadito in altri articoli riguardanti i buoni fruttiferi emessi negli anni Ottanta e dal valore “dimezzato” ma invero rimborsabile integralmente vale lo stesso principio. Ovvero, ha valore quanto riportato dalle condizioni presenti sui Buoni fruttiferi.

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L’avvocato D’Antuono fa poi riferimento a un’altra casistica. Che si riferisce ai tassi applicabili dal ventesimo al trentesimo anno di maturazione degli interessi nei Buoni fruttiferi postali ordinari con timbro di aggiornamento. Viene reso noto come nell’aggiornamento delle condizioni di un certificato ordinario di una serie precedente, Poste Italiane ha apposto un timbro con nuovi tassi di interesse fino al ventesimo anno. Ma che dire della condizione sopra riportata? Ovvero nel caso in cui la condizione si applica dal ventesimo al trentesimo anno; quindi, fino alla scadenza naturale del buono?

“I decreti di emissione specificano che dal ventesimo al trentesimo anno si applica un tasso di interesse semplice pari al maggior tasso raggiunto nel corso dei primi venti anni”. Un caso esemplare è quello di un buono emesso dopo il famoso decreto del 1986 che istituì i buoni della serie Q. E che venne consegnato ai clienti usando un certificato di serie precedente. Per la Serie P si faceva riferimento al tasso del 15%, ma Poste Italiane rimborsava i buoni usando il tasso del 12%, ovvero quello massimo raggiunto dai buoni della serie Q.

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ADUC conclude affermando che risulta possibile “reclamare il pagamento dei maggiori interessi”. E lo stesso principio vale “per i buoni in essere e anche per i buoni già incassati”. La prescrizione cade dieci anni dopo la data di estinzione, viene infine precisato.

La chiosa è sui Collegi dell’Arbitro Bancario Finanziario, che dopo una prima fase di valutazione negativa, hanno fatto seguire delle pronunce favorevoli ai beneficiari dei buoni. Tuttavia, precisa D’Antuono, alcune decisioni sembrano essere dettate dalla casualità e variabile in base alle tesi dei clienti. Detto questo, un ricorso all’Abf viene definito da ADUC “ragionevole”. In caso di esito negativo, infine, c’è sempre la strada del Giudice di Pace; ma forse non consigliabile sotto l’aspetto economico.

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