“Così non si va avanti”. A guidare la truppa degli insofferenti nei confronti dell’accelerata sulle riforme è l’ex segretario del Partito Democratico, Pier Luigi Bersani. Che, in un’intervista concessa al ‘Mattino’, aggiunge, a proposito del suo partito: “poca dialettica interna”.
“FERMIAMOCI A DISCUTERE” – Le paure di Bersani – che negli ultimi giorni si era già espresso a più riprese sul percorso delle riforme – riguardano la futura conformazione delle Camere e del sistema partitico: “ormai è stato cancellato il finanziamento pubblico, e se da qui a un anno non si cambia rischiamo di trasformarci in un comitato elettorale che si compone, ad ogni appuntamento con le urne, attorno ad un candidato”. E, a proposito della mancanza di dialogo dentro al PD, Bersani parla di problemi strutturali: “per la prima volta il premier e il segretario sono la stessa persona. Non si parla, non ci si confronta perchè ogni volta che lo fai, o ci provi, la dialettica viene riflessa sull’immagine del governo e si sposta sul Paese”. Per Bersani la via d’uscita sulle riforme è una sola: “fermarsi e discutere. Non dico un congresso, ma occorre una dialettica interna perchè vedo che manca ordine e disciplina nel partito”. E smentisce la volontà di guidare l’opposizione interna: “non mi ci vedo affatto nel ruolo di un capo fazione o chissà cosa”.
ORFINI: RIFORME O URNE – “Questa legislatura è nata con uno spirito costituente. È evidente che se l’obiettivo delle riforme costituzionali, che ha giustificato la nascita dei governi Letta e poi Renzi, dovesse rivelarsi impraticabile, le elezioni anticipate sarebbero inevitabili”. L’avvertimento arriva direttamente dal presidente del PD, Matteo Orfini, intervistato da ‘L’Unità’. Che aggiunge: “la maggioranza ha dimostrato un’ampia disponibilità ad accogliere modifiche. Ma non si può accettare uno stravolgimento dell’impianto complessivo”. L’attacco, più che alla minoranza interna, è rivolto al partito di Nichi Vendola: “sono stati i seimila emendamenti di Sel a rendere la situazione ingestibile, e mi pare evidente che non si tratti di questioni di merito, ma di una strumentalizzazione”. Mettendo a rischio anche future alleanze: “se Sel ci accusa di autoritarismo, fino al punto da paralizzare il Parlamento, mi pare evidente che non voglia allearsi con soggetti così pericolosi, neppure a livello locale. Io spero che Sel cambi atteggiamento, se non accadesse la scelta di rompere non sarebbe nostra”.
D’ATTORRE: URNE? NON CI SPAVENTANO – La minaccia di ricorso alle urne, in caso di stallo reiterato sulle riforme, non va giù però alla minoranza PD. E così Alfredo D’Attorre – intervistato da ‘Repubblica’ – replica a muso duro: “esponenti vicini a Renzi come Roberto Giachetti e Matteo Orfini hanno agitato lo spauracchio. Ma la minaccia di elezioni anticipate non spaventa nessuno, anche un bambino sa riconoscere una pistola ad acqua”. E aggiunge: “andare al voto con il Consultellum non va bene nè per il paese, nè per il Pd, nè per Renzi”. E poi traccia l’identikit di quelli che, a parer suo, sono i veri nemici di Renzi: “a destabilizzare la leadership di Renzi sono coloro che minacciano elezioni anticipate perchè trasmettono un’idea di insicurezza e instabilità”.
DI MAIO (M5S) E L’OSTRUZIONISMO – Sul pantano del percorso di riforme interviene anche Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera intervistato da ‘Avvenire’. L’esponente del M5S spiega: “la fine dell’ostruzionismo è nelle mani di Renzi. Iniziamo dal Senato elettivo e dall’immunità. Diano un segnale di apertura e di dibattito su questi temi e l’ostruzionismo si può fermare”. E rilancia la disponibilità al dialogo: “noi con il Pd stiamo usando un metodo trasparente, senza veti e tabù”. Il problema, per Di Maio, è un altro: “quando c’è da mettersi a trovare un vero punto di contatto, loro rinviano”. Il vicepresidente di Montecitorio rilancia altri punti ritenuti prioritari dal M5S: “riduzione del numero dei deputati e dei loro stipendi, per l’Italicum sbarramento ai pregiudicati, doppio turno di lista per evitare nuovi Mastella che condizionino i governi, il no alle pluricandidature”. Trovato un punto di contatto e sintesi, la strada è una sola: “poi decide la rete”. E avverte, a proposito della minaccia di elezioni anticipate: “noi siamo pronti al voto, ma prima sarebbe auspicabile cambiare la legge elettorale”.
Emanuele Vena