La scuola e l’università, il mezzo e il fine della vita dei giovani
I giovani, come categoria sociale, sono stati raramente considerati un elemento trainante per lo sviluppo della società. Si può affermare che la loro voce abbia cominciato ad emergere nella storia dal periodo del movimentismo sessantottino. Non che i giovani prima fossero delle fotocopie rimpicciolite dei propri genitori, privi di una propria consistenza, ma mancavano di obiettivi comuni. Tuttavia, quando essi si sono ritrovati un gruppo numericamente rilevante- si parla infatti della baby boom generation– e nuovo soggetto consumatore, hanno cominciato a sviluppare una sorta di “coscienza di classe”. (Espressione che voglio privare della coloritura politica propria della tradizione culturale da cui nasce).
Alcuni traguardi del movimento studentesco
Questa sorta di risveglio giovanile, che influenzò tutti gli aspetti di un’epoca, fu stimolato dalla qualità dell’istruzione di cui questi adolescenti avevano potuto godere. Fu una conquista nel 1969, la liberalizzazione degli accessi universitari. Non più solo chi usciva dal liceo poteva accedere a ogni facoltà universitaria, ma anche i diplomati di altri istituti superiori. I movimenti studenteschi, attraverso azioni di protesta come occupazioni e organizzazione di contro corsi, riuscirono a scalfire la struttura monolitica della scuola pubblica. Una ventata di freschezza entrò nelle aule polverose. Ne conseguì anche un’ apertura di mentalità da parte di un corpo docenti elitario che spesso bocciava gli alunni secondo una logica di “selezione naturale”.
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La scuola come faro per i giovani
Mezzo e fine della protesta studentesca furono proprio la Scuola e l’Università. I giovani avevano sperimentato sulla propria pelle le falle del sistema e, un po’ meno chiaramente, conoscevano la direzione da intraprendere per rinnovare un apparato educativo stantio. Se la scuola non ascoltasse le voci di chi ogni giorno vive al suo interno, di chi si alimenta della ricchezza che ha da offrire, di chi soffre per le ingiustizie che avverte al suo interno, avrebbe perso il suo ruolo. La scuola è un faro. Da una buona istruzione nascono buoni cittadini. Non è importante formare dei professionisti di settore, dei geni della fisica, dei letterati, ma la scuola dovrebbe educare i ragazzi ad avere coscienza di sé stessi e della propria condizione. Una scuola che scruta dentro sé stessa, prima di guardare ai risultati che produce all’esterno.
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