Zona Euro, anche la Lituania guarda a Ovest
A partire dal primo Gennaio 2015 anche la Lituania entrerà a far parte della zona Euro. Dopo questo passo saranno 19 i paesi ad aver adottato la moneta unica. L’eurogruppo aveva giudicato positivamente la richiesta di Vilnius già il 20 giugno scorso, il 27 dello stesso mese i leader europei avevano dato il via libera all’allargamento dell’eurozona: la Repubblica Baltica si è fatta trovare pronta rispetto ai criteri di convergenza necessari.
Adesso è arrivata la decisione definitiva del Consiglio degli Affari generali presieduto da Sandro Gozi. Il 14 e il 16 Luglio sia la BCE che l’Europarlamento hanno espresso il proprio parere favorevole. L’Estonia aveva varcato la “soglia” della nuova moneta già nel 2011, la Lettonia nel 2014. Per la Lituania il tasso di cambio permanente è stato fissato a quota 3,45280 Litas per un Euro.
Standard’s and Poor e Fitch, note agenzie di rating, hanno già aumentato il rating dell’economia lituana al livello A- giudicando che “l’entrata nell’euro rafforzerà la credibilità e la coerenza dell’economia del paese”. Una grande vittoria per il governo lituano che guarda sempre più all’Europa e sempre meno verso la Russia. Dopo la crisi Ucraina e soprattutto in seguito all’annessione della Crimea è forte la volontà dei paesi baltici di rafforzare la presenza all’interno della Comunità Europea e nello stesso tempo la volontà di proteggersi dagli interessi “espansionistici” (non solo dal punto di vista economico) di Mosca ponendosi sotto l’ombrello della Nato.
Come testimoniano i recenti dati che si riferiscono all’import-esport della Lettonia – quasi il 17% in meno di merci esportate verso la Russia rispetto ad Aprile e soprattutto il 23,7% in meno di importazioni dal mercato russo rispetto a Maggio – le Repubbliche Baltiche guardano sempre più verso Ovest, a Germania e Polonia in particolare. L’economia russa è troppo soggetta a crisi geopolitiche e relative sanzioni occidentali. Per i piccoli stati baltici sembra scattata l’ora di diversificare le proprie attività e cercare mercati alternativi per sciogliere la secolare dipendenza dalla vecchia “grande madre”. Uno stretto nodo non solo economico ma soprattutto “politico”.