Analisi sociali: colpa o vergogna? Per un’interpretazione di un abuso

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Analisi sociali: colpa o vergogna? Per un’interpretazione di un abuso

Un altro caso di (dis)umana barbarie popola le pagine virtuali delle testate non solo italiane: in un villaggio nei pressi di Nuova Deli, un padre ha abusato della figlia di soli tredici anni per circa sei mesi ininterrottamente. Inoltre, viene riportato dalle autorità che egli pare non aver mostrato alcun senso di colpa per l’atrocità compiuta. Com’è possibile tutto ciò? Sarebbe estremamente facile affermare che egli è senza dubbio un sociopatico, ma questo non risolverebbe nulla. Anzi, sarebbe piuttosto come ammettere la rinuncia, e il fallimento, di una possibile comprensione e la plausibile risoluzione del problema che dovrebbe ad essa seguire. In una società sana.

Il centro del problema risiede in una frase attribuita al padre:  “è normale, succede in tutte le famiglie”, sarebbero le sue parole che, esatte o non esatte, chiariscono comunque il concetto, il processo culturale e sociale che vi sta dietro. Il riferimento ad una norma comunemente condivisa non ha nulla a che vedere con il senso di colpa: non sorprende dunque la totale assenza di colpa nell’animo dell’uomo. Qui entra in gioco piuttosto la vergogna, e non la colpa.

Analisi sociali: colpa e vergogna. Una differenza sostanziale?

L’antitesi colpa/vergogna è “roba vecchia”, ovvero da più di un secolo antropologi e classicisti si scervellano in tale contesto nel tentativo, parzialmente fallito, di distinguere nettamente i due fenomeni, sempre e comunque. Volendo anticipare parte della conclusione per facilitare la lettura: una tale distinzione non è possibile nelle moderne società occidentali e occidentalizzate, ma può ricorrere nelle cosiddette small scale society le quali rispondono ad un insieme di precetti e regole di natura tribale che vengono accolte e accettate dai membri della comunità.

Analisis sociali: cultura della colpa e cultura della vergogna secondo Benedict (1947)

L’opposizione colpa/vergogna, nella sua definizione classica (ed applicata al mondo classico, ad essere precisi, con riferimento alla società omerica) è così formulata da Ruth Benedict, 1947:

La vera cultura della vergogna si appoggia a disapprovazioni esterne ai fini di un buon comportamento, laddove una vera cultura della colpa si appoggia alla convizione interiorizzata di un peccato. La vergogna è una reazione alla critica mossa da un insieme di altre persone che costituiscono una comunità. […] Essa dunque richiede un pubblico o, almeno, la prefigurazione di un pubblico nella mente dell’individuo che è oggetto della critica. La stessa situazione non si può applicare alla colpa [..] e un uomo può liberarsi dal proprio senso di colpa confessando il proprio peccato.

La dicotomia così formulata è, non tanto tra vergogna e colpa, ma tra risposta ad una disapprovazione esterna (che ha il suo referente nella vergogna) o disapprovazione interna (che ha il suo referente nella colpa). Nonostante una tale opposizione così nettamente distinta sia stata di recente ampiamente confutata ma non del tutto rifiutata (Aidos, The Psycology and Ethics of Honour and Shame in Ancient Greek Literature, Douglas L. Cairns, Clarendon Press, Oxford 1993 pag. 14-47), rimane il punto di partenza per la nostra discussione giacché è proprio ad un giudizio esterno che l’indiano colpevole dell’abuso rimette il suo comportamento.

Analisi sociali: vale il “così fan tutti?”

Il qualunquistico “così fan tutti”, che vediamo evocato così spesso e in modo così trasversale, risponde precisamente al principio di vergogna fin qui delineato e che, in altre parole, potremmo sintetizzare con la paura di pressioni esterne.

“Non è la colpa ad intervenire, dato che non vi sono le condizioni per cui si possa originare”

Nel caso del piccolo villaggio indiano, l’uomo non deve aver sentito alcuna pressione esterna dal momento che il suo atteggiamento rientra in una norma largamente condivisa in quel particolare ambiente sociale. Che egli risponda ad una disapprovazione esterna, o ad una interiorizzazione di una norma esterna che viene percepita come propria, non cambia la sostanza: non è la colpa ad intervenire, né probabilmente sarebbe potuto essere in altro modo, dal momento che non vi sono, in quel dato tipo di società, le condizioni per cui si può originare il senso di colpa.

Analisi sociali, tra colpa e vergogna, il richiamo alla tradizione giudeo-cristiana

Questo, così come lo si è inteso fin qui e nella significazione con la quale viene comunemente utilizzato, è un concetto strettamente occidentale legato ad una cultura giudeo-cristiana: per questo motivo parliamo di peccato e remissione dello stesso, la terminologia ne tradisce l’origine. Con questa precisazione non si vuole naturalmente suggerire un’esportazione di un concetto, legato ad una precisa cultura, in un ambiente radicalmente diverso, presumendo che una cultura sia superiore all’altra.

È chiaro che la situazione sia molto più complessa e grigia di quella fin qui descritta, in “provetta” e fortemente idealizzata. Ciononostante, una soluzione al problema parte da qui, da una consapevole co-occorrenza dei due sentimenti di colpa e vergogna. È possibile raggiungere un risultato del genere abbattendo la ferrea opposizione tra colpa e vergogna ed è più facile in quelle società dove il processo di interiorizzazione è fortemente sviluppato, anche per quanto riguarda la disapprovazione esterna, e i genitori rappresentano l’autorità morale che possa fungere da modello per il fanciullo.

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Analisi sociali. La società della colpa e della vergogna non è “esclusiva” dell’Occidente

Tra gli indiani d’America è possibile trovare vari aspetti e livelli di interiorizzazione. Un caso su tutti quello degli indiani Ojibway, presso i quali si può arrivare al suicidio a causa della vergogna che si prova per un crimine commesso, finanche privo di testimonianza (Margaret Mead, Some anthropological considerations concerning guilt, in M.L.Reymert Feelings and Emotions: The Mooseheart Symposium, New York, 1950) . La stabile compresenza di colpa e vergogna non è, pertanto, prerogativa di una di una società occidentale o occidentalizzata, senza però escludere l’evento plausibile per cui un sentimento prevarichi l’altro.

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