Carcere di Poggioreale: direttrice smentisce le violenze ai detenuti
Carcere di Poggioreale: direttrice smentisce le violenze ai detenuti
Il servizio delle Iene del 20 maggio ha decisamente spaccato in due l’opinione degli spettatori: chi punta l’indice contro la polizia Penitenziaria che,secondo i più, commetterebbe abusi di potere sugli incarcerati, usandoli alla stregua di uno sfogo per le proprie frustrazioni private. E poi l’altra metà, che tenta di convogliare l’attenzione del pubblico indignato sulle – altrettanto disumane – condizioni in cui gli agenti devono svolgere il proprio lavoro, lo squallore del repertorio umano con cui devono interfacciarsi, i rischi connessi al mestiere e, soprattutto, al numero estremamente esiguo di guardie rispetto ai detenuti da sorvegliare. Potrebbero coesistere entrambe le realtà, stando alle testimonianze raccolte sulla questione.
La cella zero: mito o realtà del carcere di Poggioreale?
Stando a quanto raccontano gli ex-detenuti, i frequenti episodi di lesioni a danno degli internati avrebbero avuto un teatro ben preciso, entro la famosa casa circodariale sita nel centro di Napoli: gli intervistati da Giulio Golia hanno fatto riferimento alla cosiddetta cella zero. La descrivono tutti allo stesso modo: una stanza vuota, non numerata, dove i carcerati venivano condotti per essere picchiati a manganellate o a mani nude. Pietro Ioia, 22 anni di carcere per punire il suo passato da narcotrafficante, si racconta alle telecamere delle Iene, in riferimento alla sua permanenza a Poggioreale: ti ci portano, ti fanno spogliare e ti riempiono di botte, così dichiara in merito alla questione cella zero. Più di uno scarcerato intervistato ci tiene a precisare che sono esclusi da questo triste trattamento chiunque sia legato al mondo malavitoso. Quando il giornalista chiede a Ioia per quali motivi i detenuti siano condotti lì e percossi, lui risponde che le motivazioni sono futili. E tutte le dichiarazioni sembrano conformarsi alla versione di Roberto Leva
Fausto Filippone, ricostruzione della tragedia
La questione Roberto Leva che ha riaperto l’inchiesta sulla violenza a Poggioreale
Roberto Leva è stato arrestato il 20 aprile, ma aveva totalizzato già 30 anni di carcere per altri reati legati a furto, ricettazione, rapina e droga. Eroinomane fin dall’adolescenza, solo quando aveva preso coscienza degli anni preziosi irrimediabilmente persi dietro la vita in strada aveva iniziato un percorso di disintossicazione. La cura a base di metadone che stava seguendo è stata però sospesa in occasione dell’ultimo arresto. Internato nel carcere napoletano, Leva racconta che ha iniziato a lamentare gli effetti delle crisi connesse alla carenza di metadone. I lamenti sono stati sentiti dalle guardie, che sono entrati nella sua cella. Forse per soccorrerlo, pensava il detenuto, forse per essere condotto in infermeria. Lì, purtroppo, non c’è mai arrivato. Racconta che sono stati in 15 a pestarlo.
La testimonianza della direttrice del carcere di Poggioreale
La dirigente della casa circondariale, Maria Luisa Palma, sostiene, al contrario, che Leva sia stato condotto in infermeria e alal vista del medico, abbia avuto un mancamento che ha causato i danni che l’uomo imputa alle percosse: contusione frontale e rottura del setto nasale. Condotto in ospedale, i medici avrebbero diagnosticato un attacco epilettico. Le sorelle di Leva non credono a questa tesi, le foto che hanno scattato e i lividi che l’uomo riporta sembrano essere prodotti da percosse. La Palma però ha pregato Giulio Golia di fare una corretta informazione: il personale del suo carcere non agirebbe che nel pieno rispetto della legge e servizi come quello in questione non fomenterebbero nei cittadini che l’odio verso le Istituzioni che sono invece pieni garanti della Legge. Quando Golia la incalza chiendendole spiegazioni sulla famigerata cella zero, segue un rimbalzante “Non c’è!” a cui Golia tenta di precisare “Non c’è mai stata?”. L’esclamanzione è reiterata dalla direttrice, senza dilungarsi in ulteriori spiegazioni.
Le considerazioni degli spettatori del servizio sul carcere di Poggioreale
L’apparente reticenza sulle spinose questioni che hanno riguardato la nomea del penitenziario spingono in molti a ritenere la testimonanza della Palma non del tutto onesta. Altri ancora ritengono improprio il diritto che si arrogano gli ex detenuti: denunciano condizioni di disumanità, pur essendo stati i primi a non metterla in pratica quando si rendevano responsabili degli illeciti per cui sono stati internati.
Resta il fatto che la pena non deve essere figlia della vendetta e che la ferocia non ha mai estirpato la delinquenza. Lo si scriveva già in un articolo sulla Stampa di Torino pubblicato il 31 ottobre 1970. Sembra assurdo rivangare considerazioni che dovrebbero appartenere ad una pagina ormai chiusa della storia della Giustizia italiana. Eppure quella pagina si riapre ancora una volta, anche se sono passati quasi cinquant’anni.