Destra e sinistra in Europa
Se c’è un importante insegnamento che la crisi internazionale sta imprimendo a fuoco nella mente dei politici e dei cittadini italiani e non solo, è che uno degli elementi fondanti dell’assetto politico e giuridico europeo sta svelando tutta la propria inadeguatezza: il concetto di stato nazionale.
[ad]Persino le più importanti economie del Vecchio Continente – Germania, Francia – si ritrovano in difficoltà nell’affrontare la crisi con misure che nascono e muoiono all’interno dei confini nazionali. Sicuramente contribuiscono molto a questa inadeguatezza l’eterno guado politico in cui l’Europa si trova ormai da una generazione, la cessione della sovranità economica dalle nazioni alla UE, la paradossale evanescenza e farraginosità delle istituzioni europee, la generale lontananza di Bruxelles dal territorio, la difficoltà con cui le decisioni prese a livello comunitario diventino poi attuative nei singoli Paesi. La prova forse più evidente di questo fenomeno sono proprio le campagne elettorali per le elezioni europee, vissute più come referendum sui governi nazionali che sulla concreta presentazione di programmi di stampo comunitario.
L’Europa affronta quindi la crisi nel proprio assetto politico peggiore: da un lato non esiste una forma di governo comunitario in grado di coordinare efficacemente gli stati nazionali, dall’altro tuttavia questi ultimi hanno ceduto alla UE importanti leve politiche per il controllo della propria economia.
Alcuni ambienti vedono l’unica via di uscita nello smembramento della UE e nel ritorno agli stati-nazione di concezione novecentesca; se questa soluzione nel breve termine potrebbe anche essere un miglioramento rispetto allo stallo attuale in quanto restituirebbe alle amministrazioni nazionali alcuni utili strumenti per combattere gli effetti più nefasti della crisi, dall’altro non mette al sicuro lo sviluppo e la crescita del continente sul lungo termine. È evidente che i nuovi attori dell’economia mondiale ragionano su scale completamente differenti rispetto a quelle deli Stati europei: India, Cina, Brasile, Russia possiedono risorse in termini di forza lavoro, produzione agricola ed energetica e materie prime che nessuno stato europeo può sperare di eguagliare; una volta colmato il gap tecnologico che ancora, come un cuscinetto, rende superiore l’industria del Vecchio Continente, è evidente che sarà impossibile resistere all’onda d’urto generata dalla maturazione dei Paesi oggi in via di sviluppo.
La necessità di pensare in dimensione europea è quindi impellente, e l’uscita dall’attuale impasseistituzionale non può che risolversi con un rafforzamento ed una maggiore coordinazione delle istituzioni comunitarie, ma proprio per questo richiede dall’attuale classe politica la capacità di formulare pensieri e programmi di respiro sovranazionale, di disegnare non già la Francia, la Spagna, l’Italia del futuro, bensì l’Europa del futuro.
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