Governo pauperista: significato e perché Berlusconi non vota la fiducia
In origine era lo spettro del comunismo. D’ora in poi, invece, per Silvio Berlusconi il mostro da combattere sarà il «governo pauperista» nascente; in particolare, chi, a tutti gli effetti, ne rappresenta l’azionista di maggioranza, il Movimento 5 Stelle.
Giusto ieri, dopo le consultazioni con Giuseppe Conte, infatti, Berlusconi ha ribadito il suo ‘niet’ all’esecutivo Lega-pentastellati. L’ha fatto, lontano dai giornalisti asserragliati fuori dalla Sala dei Busti, con uno scarno comunicato mentre era in riunione coi suoi a Palazzo Grazioli. “Voteremo no alla fiducia” e “staremo all’opposizione di un governo che, al di là dei nomi, porta chiarissimo il segno dell’ideologia pauperista e giustizialista dei grillini”.
Governo pauperista: traduzione dal politichese
Cosa intende Berlusconi con l’espressione “governo pauperista”? Il principale bersaglio teorico sembra la cosiddetta “decrescita felice” immaginata dal professor Serge Latouche, più volte richiamata dal garante 5 Stelle Beppe Grillo.
Ma il nuovo mantra sembra muoversi su due binari paralleli. Uno esplicito, che richiama a raccolta quel mondo ‘che si è fatto da solo’ della classe media imprenditoriale e manifatturiera, ancora sospettoso nei confronti della pregiudiziale populista pentastellata che non vede di buon occhio il concetto di ‘ricco’. L’altro, più nascosto, serve forse a lanciare un segnale all’establishment affaristico del paese; una sorta di ‘attenti che questi metteranno il naso ovunque’ (banche e appalti soprattutto).
Pauperismo è un termine che, in prima battuta, descrive l’impoverimento di ampi strati della popolazione contadina strappata alla terra dalla rivoluzione industriale. Dal punto di vista filosofico, sulla linea del cattolicesimo sociale, si riferisce alla ricchezza come elemento che inaridirebbe la spiritualità dell’animo umano. Da qui, semplificando, si arriva alla dottrina della decrescita felice: meno PIL, meno crescita economica, più sostenibilità ambientale.
L’anti-pauperismo del Cavaliere
Da un punto di vista politico in senso stretto, il Cavaliere punta ad agitare lo spauracchio di un esecutivo ‘giacobino’; nel senso che vorrebbe attingere alle tasche di chi ha di più (perché se lo merita) per rinfoltire quelle chi ha meno (non meritandoselo del tutto). Il tentativo è quello di riportare nel proprio alveo elettorale chi, seppur votando il M5S, potrebbe non essere affascinato dalla ‘crociata’ contro i patrimoni. Un altro obiettivo potrebbe essere quello di sintonizzarsi con chi è da sempre allergico all’equazione “ricco=disonesto”.
La strategia è comunque da inserire in un contesto molto più ampio; Forza Italia sta tentando di rigenerarsi come partito anti-populista nel panorama politico italiano. Un progetto che strizza l’occhio a quello di Renzi che alcuni vogliono in uscita dal PD e verso la formazione di un proprio partito alla Macron.
Giancarlo Manzi