Carlo Cottarelli e la spending review, cos’è e il testo dei tagli

Spending review Carlo Cottarelli

Carlo Cottarelli e la spending review, cos’è e il testo dei tagli

Il 4 ottobre 2013 il Governo Letta nomina Carlo Cottarelli commissario per la revisione della spesa pubblica, la cosiddetta spending review. L’incarico, che prevedeva poteri molto ampi per il prossimo Primo Ministro, sarebbe dovuto durare tre anni.
Così, nel marzo 2014, Cottarelli presenta un nuovo programma per la revisione della spesa. Nel frattempo però, si era già insediato, nel mese precedente, un nuovo governo, quello di Renzi. L’economista presenterà, dunque, le proposte per la revisione della spesa pubblica a Renzi e i suoi. Nel frattempo, istituisce “Il blog del commissario” dove pubblica numerose considerazioni e documenti per renderli pubblici e accessibili a tutti.

Carlo Cottarelli al Fondo Monetario Internazionale

Alcuni di questi dossier rivolgevano critiche nei confronti delle scelte del Governo Renzi. Tra tutti, il più recente, datato 30 luglio 2014, “La revisione della spesa come strumento per il finanziamento di… nuove spese”.
Il caso vuole che l’incarico di Carlo Cottarelli terminasse il 31 ottobre 2014, con due anni di anticipo rispetto a quanto previsto. L’economista veniva infatti designato dal Governo Renzi per un incarico al Fondo Monetario Internazionale.

Dopo molti mesi dalle dimissioni di Cottarelli viene richiesta dalla stampa la pubblicazione dei dossier dei gruppi di lavoro con le relative proposte elaborate. In aprile 2015 vengono pubblicati on line sul sito revisionedellaspesa.gov.it insieme con la relazione finale di Cottarelli.
Questi rivelavano le proposte, molte, messe sul tavolo del Governo per ridurre la spesa pubblica: dagli investimenti alle partecipate, dai costi della politica ai beni e servizi, fino agli interventi sui singoli ministeri. Solo alcune venivano recepite e attuate. La maggior parte, invece, sono rimaste lettera morta.

Spending Review, come la pensa Carlo Cottarelli

Secondo le stime dell’economista, si tratta di misure per un valore di circa 8-10 miliardi rispetto ai 34 proposti. Ma, come ha spiegato lo stesso qualche mese fa, “mi rendo conto che molte delle proposte sono difficili da fare”. E continuava: “Ho lavorato con due presidenti del Consiglio” ovvero Enrico Letta e Matteo Renzi. “Uno mi ha detto: ‘nascondi il piano, sennò qui salta tutto’. Ma poi qualcosa è stato fatto. L’altro mi ha detto: ‘digitalizziamo la pubblica amministrazione’. Ma se non si eliminano posti di lavoro, non serve”.

Le proposte in dettaglio

Ma vediamo più da vicino queste proposte. Quelle dedicate alla qualità della spesa di investimento prevedevano innanzitutto il rafforzamento delle azioni di sorveglianza nella fase di esecuzione e messa in esercizio delle opere programmate dal Cipe, il Comitato interministeriale per la programmazione economica. Non solo. Si puntava anche all’istituzione di un fondo progetti e di un fondo opere, la predisposizione di un Dpcm al fine di definire le procedure e le modalità di finanziamento automatico per le quote a carico del bilancio dello Stato in caso di mancato avvio delle opere e, infine, l’attuazione del decreto Mef che definiva il contenuto dei dati relativi alle opere pubbliche.

Carlo Cottarelli e il finanziamento ai partiti

Per quanto riguarda gli interventi rivolti al finanziamento ai partiti, Comuni e Regioni, il dossier dedicato stimava 700 milioni di euro di risparmi possibili. E bollava: la legge di conversione del decreto sul finanziamento ai partiti “ha accolto soltanto in misura limitata” le proposte di emendamento presentate. Queste avrebbero generato risparmi addizionali per 65 milioni di euro nei tre anni successivi all’attuazione.

Rispetto ai Comuni, si puntava alla fusione obbligata di tutte le amministrazioni locali con una popolazione al di sotto di una certa soglia (3.000, 5.000 o 10.000 abitanti). Altri possibili interventi riguardavano la riduzione del 20% del numero di assessori e consiglieri, nonchè l’eliminazione dell’indennità di fine mandato dei sindaci, oltre al taglio degli emolumenti. L’adozione delle proposte avrebbe comportato risparmi, diceva Cottarelli, di circa 255 milioni di euro all’anno.

I risparmi della Pubblica Amministrazione per Carlo Cottarelli

Con la revisione delle modalità di acquisto di beni e servizi, invece, la Pa avrebbe potuto risparmiare tra gli 1,1 e i 3,2 miliardi di euro in tre anni. La maggior parte dei risparmi stimati sarebbe arrivata dalle riduzioni dei prezzi unitari degli acquisti derivanti dalla creazione di soggetti aggregatori della domanda e la programmazione triennale dei fabbisogni da parte di tutte le amministrazioni, unita a piani gare annuali.
Sulle partecipate, il gruppo di lavoro proponeva l’obiettivo “da 8mila a 1.000”, da realizzarsi attraverso l’introduzione di un vincolo di dimensione, ovvero il divieto di partecipare in società in cui il pubblico non raggiungesse una quota del 10 o del 20%, e la chiusura delle “scatole vuote”.

Almeno 3mila partecipate, infatti, “hanno meno di sei dipendenti e 1.300 hanno un fatturao inferiore a 100mila euro”, si legge nel documento.

Per la pubblica amministrazione, il documento del gruppo di lavoro dedicato avanzava cinque proposte: gestione associata dei servizi di supporto; ottimizzazione del rapporto tra dirigenti e non dirigenti; razionalizzazione di enti pubblici e agenzie, previo censimento; ricognizione e riordino delle strutture periferiche dello Stato; riduzione delle sovrapposizioni funzionali tra amministrazioni statali.

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Carlo Cottarelli “la politica fa le scelte”

Infine, sul pubblico impiego, i gruppi di lavoro guidati da Cottarelli avrebbero puntato sulla mobilità.
“Io faccio le proposte. Ma è la politica che fa le scelte” diceva Cottarelli intervistato dopo la fine anticipata del suo incarico durante il Governo Renzi, che lo rispediva a Washington presso il FMI.
Teoricamente oggi potrebbe essere soggetto sia passivo che attivo di riforme, visto il ruolo istituzionale che andrà a ricoprire nei prossimi giorni. Ovviamente, però, la teoria rimane. La pratica necessiterebbe della fiducia delle due Camere al Governo. Il che sembra un’utopia, per alcuni, e una distopia, per altri.

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