Cosa è successo a Liegi, la polizia ha ucciso un uomo
Cosa è successo a Liegi, la polizia ha ucciso un uomo
A Liegi la vita scorre, ma con minore tranquillità rispetto a prima, rispetto a quando il Belgio ancora non costituiva un crocevia per la messa a punto di attacchi di stampo terroristico (basti pensare a Bruxelles e Parigi). Un altro (triste) record che detiene lo stato fiammingo è l’esser una nazione col più alto numero dei detenuti per terrorismo. E il 29 maggio è stata proprio Liegi, la cosiddetta Cité ardente, come la chiama la popolazione francofona che vi risiede, il teatro di un’orribile sparatoria. Il responsabile della strage di martedì era, sì, un detenuto, ma ciò che più è preoccupante è il fatto che non fosse stato schedato tra i radicalizzati.
Le fasi della sparatoria a Liegi
Erano le ore 1030 circa quando un 36enne, identificato poi in Benjamin Herman, originario di Rochefort, comune belga della provincia di Namur, avrebbe avviato la strage partendo da Rue Des Augustins, accoltellando alle spalle due agenti di polizia, rispettivamente di 53 e 45 anni, e sottraendo loro le armi. Dopodiché, il killer fredda a colpi di pistola uno studente di 22 anni della Haute Ecole di Liegi, seduto al sedile passeggeri. Tra qualche settimana avrebbe conseguito il diploma per diventare insegnante. Infine, l’uomo si è rifugiato presso il vicino Liceo Leonie de Waha, dove ha sequestrato una donna che si trovava all’ingresso dell’edificio, addetta alle pulizie. L’assassino è stato ucciso dalla polizia; nel corso dell’intervento due agenti sono rimasti feriti. La donna presa in ostaggio non ha riportato ferite o lesioni.
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Le dichiarazioni sul caso: è terrorismo?
Parrebbe di sì, stando alle testimonianze che dichiarano aver sentito Herman gridare: Allah Akbar. Inoltre, nella notte tra lunedì e martedì Herman ha ucciso a martellate anche un’altra vittima, Michael Wilmet, che conosceva il suo aguzzino e il cui corpo senza vita è stato ritrovato in un’abitazione nel comune belga di Marche-en-Famenne. Si è, però, ancora prudenti nell’inquadrare l’atto come animato da matrice jihadista, come risulta dalle parole rivolte dal presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani alla plenaria a Strasburgo.